Primo film girato in America dal celebre regista franco-algerino Rachid Bouchareb, Just Like a Woman è prima di ogni altra cosa un road movie. Genere primariamente americano, il road movie classicamente inteso, infatti, scandisce premesse e svolgimento della storia di due donne in difficoltà in viaggio verso un orizzonte migliore. Bianca e telefonista l’una (Sienna Miller), musulmana e commerciante l’altra (Golshifteh Farahani), entrambe in fuga da un presente difficile, per una fortuita coincidenza si ritrovano a condividere un viaggio verso Santa Fe. Entrambe appassionate di danza del ventre, si procureranno da vivere esibendosi in modesti locali lungo il tragitto.
Le due protagoniste, in perenne lotta con i fantasmi del passato, da cui evidentemente stanno scappando, si ritrovano loro malgrado a cozzare contro i mille ostacoli che la sceneggiatura sciorina senza troppa fantasia. Pregiudizio, recessione, spettro dell’infertilità, tradimento, razzismo sono i grandi calderoni da cui il regista (ideatore del soggetto e co-autore della sceneggiatura) sembra attingere a piene mani e piuttosto indifferenziatamente. Il risultato non è dei migliori, dato che invece di appassionarsi alle vicende delle due donne si finisce per subire senza troppa partecipazione l’inanellamento di microsituazioni sfavorevoli che sembrano strizzare l’occhio a una visione d’insieme fin troppo pilotata. La parte più debole, in questo senso, è probabilmente anche quella meno matura dal punto di vista drammaturgico. La contrapposizione tra i due poliziotti sulle tracce di Golshifteh Farahani - l’uno inconsapevolmente razzista, l’altra immigrata e grata all’America dove tutto è possibile - è fin troppo manichea e abbozzata. Altrove, tuttavia, il film riserva qualche buona sorpresa, probabilmente proprio laddove il viaggio si fa sempre più percorso di scoperta per le protagoniste e dove l’amicizia delle due cresce senza troppe spiegazioni. Così le differenze razziali e culturali si eclissano e insieme si esaltano in un rapporto dirompente in cui il vero valore è la lealtà nei confronti dell’altra. È qui che il film fa meglio, anche per merito di una regia meno anonima e più incisiva. Così, non dimenticheremo il contrasto tra il costume di lustrini della Farahani e la landa deserta di una riserva indiana, la sua espressione dolente che nasconde gioia, gratitudine e pentimento in un sol colpo. E difficilmente non ricorderemo la scena più difficile dell’intero film, dove la follia della violenza su una donna da parte di due uomini grida la sua totale assenza di senso.
È un film non totalmente riuscito questo Just Like a Woman, che forse perde la sua sfida primaria, quella racchiusa in un titolo così semplice e perentorio: raccontare una donna, narrando con essa il mondo, senza ansie di universalizzazione. La sfida è ancora aperta ...
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