Le peculiarità fotogeniche del pugilato sono cosa nota da tempo e la boxe è spesso stata un semplice pretesto, uno sfondo fuori fuoco per raccontare le storie dell’umanità dolente (e dolorante) che gli gravita attorno. Altrettanto spesso è stata invece squadernata dal cinema tutta la crudezza impietosa di uno sport che oscilla su una linea che sta tra il massacro e la scienza esatta dello schivare i colpi e del centrare il bersaglio. Il ring, ovvio, come metafora dell’esistenza: la sfida con se stessi e con la crudeltà di un universo ingrato; il riscatto sociale e la dignità conquistata a suon di pugni; borse del ghiaccio premute sui lividi che magari diverranno cicatrici. Tutto questo è stato il cinema per la boxe, e la boxe per il cinema.

The Fighter, ispirato alla biografia del pugile “Irish” Micky Ward (Mark Wahlberg), si posiziona a metà strada tra le due tipologie di racconto, portando in scena la doppia parabola (rispettivamente ascendente e discendente) di Micky e del fratellastro, ex boxeur nonché suo allenatore Dicky Eklund (Christian Bale). Il successo di Micky, l’happy ending catartico, passa attraverso la presa di coscienza di Dick del proprio fallimento, sia nello sport che nella vita. Tuttavia, a livello metatestuale si verifica una sorta di inversione rispetto al trend narrativo. Infatti, e forse questa è la nota più significativa dell’operazione di David O. Russell, Christian Bale giganteggia sulla scena con un’interpretazione decisamente sopra le righe che gli è valsa, fra gli altri premi, un Oscar come miglior attore non protagonista. Un film nel film è dedicato a Bale/Eklund, tanto che una troupe della HBO lo segue passo passo nelle varie peregrinazioni, dalla palestra alla strada, da una sorta di alcova dove si ritrova con alcuni biechi personaggi per consumare del crack al men che meno rassicurante rifugio casalingo dove regna una nutrita schiera di agguerrite sorellastre guidata da una madre che definire snaturata sarebbe un eufemismo (personaggio ben costruito e ottimamente interpretato da Melissa Leo, premiata anch’essa con l’Oscar). L’occhio impietoso della televisione mostra un uomo che è ormai solo l’ombra del personaggio semi leggendario che, probabilmente per puro caso, riuscì a mettere al tappeto il campione Sugar Ray Leonard. Eklund riceve un definitivo knock out dalla visione delle riprese trasmesse dall’emittente che non celebrano affatto un passato di glorie sportive, come egli si sarebbe aspettato, bensì i sordidi retroscena della vita di un tossicodipendente. Ancora una volta, attraverso gli schermi cinematografici, è il piccolo schermo a rivendicare dal tubo catodico la propria ontologica vocazione di specchio del mondo reale.

A Mark Wahlberg sembra non rimanere altro che una burrascosa relazione con la sensuale Amy Adams e, ovviamente, il ring. Ma il combattente, the fighter, è proprio quel macilento mucchio d’ossa di Bale che con un acting che sembra essere il pregio migliore della pellicola riesce a rendere icasticamente la patologia di un corpo alla deriva. Rispetto ad altri corpi che hanno popolato i ring cinematografici con la loro fisicità ipertiroidea, da Stallone a Robert De Niro, Bale sorta di evanescente contraltare fa virtù della propria presenza ectoplasmica. Come dire, un’assenza ingombrante.

TITOLO ORIGINALE: The Fighter; REGIA: David O. Russell; SCENEGGIATURA: Eric Johnson, Scott Silver, Paul Tamasy; FOTOGRAFIA: Hoyte Van Hoytema; MONTAGGIO: Pamela Martin; MUSICA: Michael Brook; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2010; DURATA: 118 min.