Caro Diario, la malattia allo specchio PDF 
Simone Dotto   

Sono già passati quasi vent’anni dal suo battesimo su lungometraggio, quando Caro Diario (1993) riconferma Nanni Moretti per quell’autarchico cinematografico che è. L’abbandono dell’unica maschera adottata fin dall’inizio - il personaggio/alter ego Michele Apicella - a favore dei suoi reali dati anagrafici è l’ultimo velo che cade, per un autore che ha sempre raccontato il resto del mondo attraverso se stesso. Narcisismo patologico, decreteranno i detrattori, al punto che quando nemmeno mettersi davanti e dietro la macchina da presa riesce più a bastarti, ecco che ti trovi uno spazio persino in sceneggiatura. E in effetti, anche al giro di boa del “film della maturità” (sempre se siete disposti a concedercela, visto che solitamente lungo la carriera morettiana ciascuno ne vede tre o quattro, e ad altezze sempre diverse…), il regista trova il modo di piazzare il suo pensiero su tutti e tutto quello che gli sta intorno: intellettuali e uomini di mondo, il cinema italiano (quello degli altri) e la critica cinematografica, le categorie dei medici e quella dei genitori. Tema, questo della paternità, su cui dovrà comunque tornare qualche tempo dopo nel film che è il naturale prosieguo del discorso “diaristico”, Aprile.

Ma Caro Diario non è soltanto la raccolta di appunti di un autore che si guarda allo specchio. Se c’è una malattia che pervade i tre episodi che compongono il film, questa è la solitudine. È sempre solo il Nanni che va a zonzo sulla vespa in una Roma fantasma, che entra nelle sale dei cinema deserti, che “guarda gli altri ballare” e approccia gli sconosciuti al semaforo cercando inutilmente di convincerli che lui non è come quei registi che ambientano i film su un’isola deserta “perché non credono nelle persone”. Ma sono soli anche gli altri: i cittadini romani che hanno scelto di barricarsi nelle villette a schiera dei quartieri bene, l’amico intellettuale interpretato da Renato Carpentieri che vive in esilio per studiare l’Ulisse di Joyce (salvo poi riconvertirsi alle partite e alle soap opera in televisione) o gli abitanti dei microcosmi nell’arcipelago delle Eolie, dalla spaventosa mondana Panarea alla selvaggia Alicudi (eccola qui, l’isola deserta di cui si parlava poco fa).

Il terzo, dedicato ai medici, è l’episodio chiave. È qui che l’autarchia cinematografica, quella del regista che letteralmente “basta a se stesso”, giunge a un nuovo traguardo. Continuando a raccontare di sé e della sua lunga ricerca per curare un fastidioso prurito, Moretti sceglie di riprendere la sua ultima seduta di chemioterapia. Ancora una volta si può parlare di esibizionismo vanitoso, oppure, cambiando angolazione, quasi masochista, nell’esporre il proprio corpo, spesso seminudo, ora su un letto d’ambulatorio, ora in un bagno di crusca e ora sottoposto ad agopuntura, a ricostruire a posteriori un stato di fragilità che si è conosciuto realmente. Certo, si trattasse della sola denuncia contro la categoria dei medici sarebbe ben poca cosa: un lungo giro dell’oca culminato anche in un’operazione per poi scoprire che bastava aprire un manuale di medicina per conoscere sintomi e cura. Ma anche in questo c’è di più di un’ode un po’ presuntuosa alla medicina fai-da-te, e quel “di più” è un’altra volta una sensazione di solitudine: presente nei monologhi in auto o negli “a parte” di fronte ai medici che “sanno parlare ma non sanno ascoltare”, o nel temuto verdetto del dottore che vede il prurito come un sintomo psicosomatico e, di conseguenza, la sconsolata consapevolezza che “se dipende da me sono sicuro che non ce la farò”.

Titolo originale: Caro Diario; Regia: Nanni Moretti; Sceneggiatura: Nanni Moretti; Fotografia: Giuseppe Lanci; Montaggio: Mirco Garrone; Scenografia: Marta Maffucci; Costumi: Maria Rita Barbera; Musiche: Nicola Piovani; Produzione: Sacher Film, Banfilm, La Sept Cinéma, Rai Uno Radiotelevisione, Canal+; Distribuzione: Lucky Red; Durata: 100 min.; Origine: Italia/Francia, 1993

 


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