Terry Gilliam e la magia dello schermo PDF 
Anna Barison   

Terry Gilliam ha presentato al Festival Internazionale del Film di Roma, Parnassus - L’uomo che voleva ingannare il diavolo, un’opera fedele al suo immaginario fiabesco, dove la magia prende forma dentro uno specchio dai poteri visionari. Un non-luogo che, come ci racconta il regista americano, è metafora del cinema stesso. La sua nuova avventura propone l’ultima grande “magia” sullo schermo di Heath Ledger.

Inevitabilmente il suo film viene accostato all’ultima interpretazione di Heath Ledger. Come ha scelto Ledger e con quale spirito ha continuato le riprese dopo la sua scomparsa?
Per me Heath era in primo luogo un amico. Era straordinario, sia come attore che come uomo. Non ho mai avuto dubbi sul suo ruolo, era perfetto per quel personaggio: intelligente, saggio, con un grande senso dell'umorismo, ma anche un pizzico di cattiveria talvolta, proprio com’era lui nella vita reale. Heath amava tantissimo il suo lavoro e spesso era difficile per me tenere a freno la sua energia, tanto che a volte cambiava anche le battute del copione. Gli piaceva sorprenderci, ma non era mai fuori luogo. Infatti, avrei voluto che questo film fosse firmato anche da lui come co-regista, perché sono state fondamentali le sue idee nella lavorazione. Era come se Heath mi costringesse a fare un film migliore di quello che doveva essere. Faceva già lavori da regista, si impegnava moltissimo in questa sua passione, ma purtroppo non ne vedremo mai i frutti. Sono convinto che sia stato lui, da lassù, a darci la forza per portare a termine questo progetto. Una cosa che mi impressionava di lui era la saggezza che portava con sé. Ho sempre pensato che nelle sue vene scorresse sangue aborigeno, aveva 243  anni quando è morto!

Dopo la morte di Ledger si sarà scontrato con mille problemi produttivi: in primo luogo trovare l’attore giusto per sostituirlo, e poi la necessità di apportare dei cambiamenti alla sceneggiatura. Come ha deciso di coinvolgere nel progetto Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell?
Sono stati Johnny, Jude e Colin a voler collaborare con me e a prendere parte al progetto perchè sono sempre stati molto vicini a Heath. Era il loro modo personale di onorare la memoria di un caro amico. Io, del resto, ero sicuro che ci avrebbero messo la sua stessa passione. Hanno addirittura devoluto il loro compenso all’eredità di Heath. Anche l’agente di Tom Cruise ha proposto il suo assistito per sostituirlo, ma non ho accettato perché loro due non si conoscevano bene e io volevo sul set solo i suoi amici più stretti. Per quanto riguarda la sceneggiatura abbiamo deciso di non cambiare assolutamente lo script, di realizzare il film così come lo avevamo immaginato con Heath. L’aggiunta dei tre attori ha apportato dei cambiamenti evidenti, ovvero Heath cambia volto quando entra nello specchio magico, ma al di là di questo escamotage tutto è rimasto invariato.

L’impatto visivo di Parnassus è molto curato. Le atmosfere oniriche e fantastiche sono una parte integrante della narrazione... come ha lavorato per ottenere questi effetti?
Non è stata facile la post-produzione, soprattutto perché i miei film non hanno mai grandi budget alle spalle e anche questo lavoro non fa eccezione. Il film è costato 30 milioni di dollari, che a Hollywood è considerato un costo da film quasi indipendente! Comunque alla fine, mettendo insieme più tecniche, dai modelli alla computer grafica, siamo riusciti ad ottenere il risultato che volevo.

Seguendo le dinamiche delle storia, si ha l’impressione che lei abbia voluto inserire molti riferimenti simbolici al mondo del cinema e della letteratura. Il tema faustiano, per esempio, si intravede chiaramente…
Faust è sempre con noi perché il diavolo ci attende! Ho preso spunto dal personaggio di Goethe che è sempre molto attuale. L’immagine dello specchio magico invece è l’immagine dell’arte in tutte le sue forme: il cinema, la musica. L’arte ci permette, come lo specchio, di sfuggire dalle cose negative, di scappare dal mondo reale, e la cosa più sorprendente è che quando si attraversa questo specchio non si può prevedere cosa accadrà. Questo è il motivo principale per cui continuo a scrivere e girare film. Purtroppo però, al cinema, vedo sempre gli stessi attori, le stesse situazioni e c’è sempre meno spazio per l'immaginazione. Io invece voglio sorprendere, e spero di riuscirci qualche volta.

Da quali suggestioni personali è partito per scrivere Parnassus?
L’idea di uno spettacolo itinerante dai colori sbiaditi, vecchio, a cui a nessuno in realtà interessa mi perseguitava già da tempo. Poi dei piccoli elfi una notte sono entrati nella mia stanza e hanno fatto tutto loro. Bisogna ritrovare quello sguardo infantile, quel modo di vedere le cose lontano da ogni sovrastruttura, ma bisogna fare anche molta attenzione. Non puoi mai sapere dove la fantasia ti porterà. Io stesso penso di aver condiviso una gran parte delle mie fantasie grazie ai miei film, ma se volete sapere cosa vedo io nel mio specchio è un segreto ... non vorrei esser arrestato!.

Nel film ci sono anche la simbologia indiana, i figli dei fiori e il periodo delle grandi rivoluzioni targate anni Sessanta…
Negli anni Sessanta abbiamo scoperto le filosofie orientali. Eravamo tutti più spensierati e vivevamo nella speranza di rendere migliore il mondo. Ora invece viviamo in un mondo in cui le storie che ci vengono raccontate sono tutte uguali e non c’è più molta capacità di sognare. Bisognerebbe leggere più libri, non vedere troppo la televisione e nemmeno un certo cinema, perché l’omologazione della sottocultura è avvilente. Nel mio film ho realizzato un mèlange di religioni orientali, occidentali, e vecchie filosofie, inventandomi anche una nuova dottrina come l’ebraismo-tibetano, che si può vedere nella scena del monastero.

 


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