La regina dei castelli di carta PDF 
Francesca Druidi   

Millennium, ultimo atto. “Il suo ultimo nome è Lisbeth Salander e la Svezia ha imparato a conoscerla attraverso le conferenze stampa della polizia e gli articoli dei giornali della sera. Ha ventisette anni ed è alta un metro e cinquanta. È stata descritta come psicopatica assassina e lesbica satanista. Non c’è limite alle fantasie che sono state vendute al pubblico su di lei. In questo numero, Millennium racconta la storia di come dei funzionari statali abbiano cospirato contro Lisbeth Salander per proteggere un assassino psicopatico”. Non ci possono essere parole migliori per riassumere la trama de La regina dei castelli di carta, se non quelle direttamente elaborate dallo scrittore Stieg Larsson nel terzo e conclusivo capitolo della saga. E non è un caso che queste affermazioni costituiscano il passaggio iniziale dell’editoriale/inchiesta del protagonista, l’integro giornalista Mikael Blomkvist, destinato ad aprire un nuovo numero di Millennium interamente incentrato sull’affaire Salander. Un numero la cui uscita è prevista in contemporanea al processo che vede come imputata proprio Lisbeth, accusata del tentato omicidio del padre Alexander Zalachenko.

Il film La regina dei castelli di carta prende le mosse dalla fine del precedente lungometraggio La ragazza che giocava con il fuoco, al quale è strettamente connesso: dopo la resa dei conti avvenuta “in famiglia”, Lisbeth è finita in ospedale con un proiettile in testa e diverse altre lesioni, mentre il crudele genitore, Zalachenko, se l’è cavata, per modo di dire, con un colpo di accetta in testa, sferzato dalla figlia nell’estremo tentativo di difesa. Il fratellastro della giovane, il gigante che non sente dolore Niedermann, è fuggito lasciando altro sangue dietro di sé. La sopravvivenza di padre e figlia, paradossalmente legati a doppio filo, è però messa in pericolo da chi li vuole mettere a tacere per sempre. Ad entrare con prepotenza nell’universo diegetico del film è la micro-organizzazione che finora aveva sempre agito e tramato nell’ombra: la Sezione, un gruppo ristretto di uomini della polizia segreta dedito a indagini relative a questioni di sicurezza nazionale. Dall’arrivo della spia russa Zalachenko in Svezia a metà degli anni Settanta, la Sezione si è occupata di lui a tempo pieno con un’unità apposita, cancellando ogni traccia della sua esistenza e degli strascichi di violenza che disseminava nel paese. Tra questi, spiccano i colpi inferti alla madre di Lisbeth, all’origine della disperata reazione della ragazza, che non ha esitato a dar fuoco al padre. Da qui, l’entrata in scena del viscido psichiatra Peter Teleborian, prezioso alleato della sezione, che ha contribuito a rendere possibile l’internamento dell’allora dodicenne Lisbeth nella clinica di St. Stefan.

L’ultima pagina della saga di Millennium ricostruisce, dunque, la storia dei soprusi subiti da Lisbeth in nome della segretezza di un’unità operativa senza scrupoli e oltretutto dotata di notevole potere, non soltanto economico. Per proteggere le operazioni, le informazioni date e ricevute anche grazie a Zalachenko, nonché la stessa esistenza dell’organizzazione, questi uomini non hanno avuto timori nel tentare di distruggere la vita prima di una ragazzina e poi di una giovane donna, scomodo testimone dei loro intrighi. A sostenerli nei loro piani, altri personaggi compiacenti e corrotti. Uomini che odiano le donne. Sarà, come sempre, il fedele Mikael Blomkvist a far emergere la verità su Lisbeth, aiutato dai collaboratori di Millennium, ma anche dall’amico hacker della giovane e dal medico, Anders Jonasson, che ha operato Lisbeth salvandone la vita.

I film tratti dalla saga hanno ricalcato i generi dei romanzi corrispondenti: nel primo si inseguiva la risoluzione di un enigma “della camera chiusa”, quello della scomparsa di Harriet Vanger; il secondo si presentava come un thriller poliziesco, mentre il terzo assumeva i contorni di una spy story. Se però, nelle pagine di Larsson, La regina dei castelli di carta è un affresco poliziesco dalle connotazioni sempre più sociali e politiche, nel lavoro diretto da Daniel Alfredson tutto si riduce a un thriller dalle inevitabili ricadute nel genere processuale. Lo spirito di denuncia contenuto nell’opera letteraria dell’autore svedese, che si scaglia contro una società che, anziché aiutare i più deboli e gli innocenti, infierisce su di loro, o in ogni caso è indifferente nei confronti di chi fa loro del male, è del tutto azzerato. La regina dei castelli di carta è già di per sé il testo più complesso, tra i tre, da tradurre in cinema, e il risultato finale risente di queste difficoltà: il film di Alfredson ripropone in maniera pedissequa le trame e i risvolti principali del romanzo, ma a fare da salvagente non c’è più l’azione che caratterizzava il secondo libro, portato sul grande schermo sempre dal regista svedese, e la pellicola risulta quindi monocorde e piatta nel dipanare i diversi snodi narrativi. Non c’è mai un colpo d’ala, un guizzo, una linea guida che faccia da motore alla stessa messa in scena. Lo stile è senza dubbio algido e asciutto, la rappresentazione della violenza non è edulcorata, ma questo non basta perché a mancare è una qualsiasi idea di cinema. Anche lontana, diversa o alternativa alla visione messa in piedi da Stieg Larsson.

Purtroppo la trilogia si chiude nei peggiori dei modi, lasciando comunque in eredità la carismatica figura dell’attrice Noomi Rapace, una Lisbeth Salander convincente e credibile, alla quale è mancato un giusto contraltare, in quanto chi vi scrive ha sempre ritenuto deboli sia la caratterizzazione del personaggio di Mikael Blomkvist sia la scelta di Michael Nyqvist come interprete. L’immagine più forte de La regina dei castelli di carta, quella più potente, è la trasformazione di Lisbeth nel momento in cui si reca in aula per il suo processo. La sua è una vera e propria vestizione in stile punk, espressa nei capelli, nel trucco, negli accessori.  E in questo caso il look non individua soltanto una mera scelta estetica, ma un vero e proprio schiaffo in faccia alla società che l’ha calpestata e ai mass media che l’hanno giudicata ed etichettata prima ancora di conoscere i fatti. Una protesta in piena regola. E, del resto, la profonda connessione tra il corpo, da una parte, e l’anima e la mente di Lisbeth, dall’altra, è uno dei pochi aspetti interessanti emersi dai film, anche se purtroppo è sempre stato solo abbozzato.

TITOLO ORIGINALE: Luftslottet som sprängdes; REGIA: Daniel Alfredson; SCENEGGIATURA: Ulf Rydberg; FOTOGRAFIA: Peter Mokrosinski; MONTAGGIO: Håkan Karlsson; MUSICA: Jacob Groth; PRODUZIONE: Svezia; ANNO: 2009; DURATA: 147 min.

 


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