Ferro 3: sguardi nel silenzio PDF 
di Alessio Gradogna   

Corpi e anime. Fantasmi, presenze, sguardi, gesti. Implorazioni, ribellioni, ricerche, baci conquistati e rubati. Vite parallele, insignificanti, capaci di svanire nel nulla. O forse vite importanti, indispensabili, uniche, capaci di farci comprendere il vero significato dell'amore e della solitudine, della morte e della felicità, del dolore e della speranza. Senza bisogno di pleonastiche parole, cullati nel silenzio di un'immagine, di una foto, di un dipinto, di una casa abbandonata all'oblio del tempo, di un'impercettibile variazione d'umore. Esserci e non esserci, partecipare ed estraniarsi, combattere senza abbassarsi alle leggi del mondo. Volare in una nuvola di polvere e ritrovare Lei, compagna per la vita e per il cuore, ad aspettarti, con un sorriso.

Nel nuovo film di Kim Ki-duk (autore anche di sceneggiatura e montaggio), apprezzato regista coreano de L'Isola, Samaria, Bad Guy, e Primavera, Estate, Autunno, Inverno..., conosciuto e seguito più in occidente che in patria, e finalmente visibile anche in Italia grazie al passaparola e ai festival, c'è tutto questo, e molto di più.

Vuoti da colmare, odori umani da assaporare per non sentirsi troppo soli, un'esistenza da vivere lontano dalle leggi della società, un mondo parallelo in cui entrare idealmente nel corpo e nei destini di persone forse meno sconosciute di quanto possa apparire, per colmare un vuoto triste e difficilmente sopportabile: ecco perché Tae-Suk si aggira di nascosto nelle case della gente, utilizzando bagni e cucine, letti e divani, biancheria e soprammobili. Nel suo vagabondare c'è un febbrile desiderio di conoscenza, di compagnia, di quel calore umano negato dalla società a chi è troppo diverso per poter essere accettato. Ma in fondo non si è mai soli, non bisogna mai perdere la speranza, perché la salvezza può giungere, negli occhi e nei silenzi di Sun-hwa, altra creatura unica, soffocata da un marito violento e inutile, bimba sognatrice che vive nel suo animo l'attesa di un principe azzurro che la porti via dallo squallore di un'esistenza troppo desolata per poter essere vera.

Il senso di non-accettazione, la fuga dal caos contemporaneo alla ricerca di un tempo perduto di innocenza e sensazioni forti, l'inciviltà dell'auto-commiserazione destinata a mutarsi nell'attimo eterno di uno sguardo curioso e indagatore, la possibilità di capirsi e unirsi per sempre in un gioco di inseguimenti e situazioni, il tremore antico di un amore immacolato che rifugge la carnalità per amalgamarsi in puro spirito: ecco ciò che lega Tae-Suk e Sun-Hwa, troppo simili e troppo unici per non fondersi in un'unica persona, in un unico fantasma.

Così la coppia di anime perse è unita, l'intrusione pacifica nelle case può rincominciare, e niente e nessuno, nemmeno la legge, nemmeno la sfortuna, potrà più separare due cuori legati per sempre da un destino comune. Un destino di sofferenza, o forse di felicità e d'amore, l'amore assoluto: quello che non ha bisogno di parole. Si resta ammaliati, inebetiti, di fronte a Ferro 3 (il nome di una mazza da golf, che viene più volte utilizzata durante la pellicola per materializzare e al contempo metaforizzare punizioni e vendette), Leone d'Argento all'ultimo Festival di Venezia: cinema di occhi brillanti nel gorgo della disperazione, di commoventi richieste d'aiuto lanciate nel vento, di fluttuazioni dolci e vibranti di poesia. Cinema capace di porre in essere una commistione tra quotidiano e soprannaturale, perfetta nella sua immediata sapienza, e di rendere credibile una storia altresì irreale, ma in grado di farci perdere il confine tra sogno e realtà per immergerci in un oblio catartico e in una fascinazione visiva senza eguali.

La crudele solitudine di Seom-L'Isola vira verso i contorni di una vita possibile anche al di fuori del realismo filmico; i due amanti incatenati per sempre in un mantello di lacrime e dimenticanze si apparentano con quelli di Dolls di Kitano, reclusi per sempre in una sana follia che forse fa meno male dei soprusi di una realtà perversa; la storia d'amore sfiora e leviga l'emotività ancestrale di In The Mood For Love di Wong Kar-wai. Cinema supremo, intoccabile, ipnotizzante, nel quale viviamo un muro di sconfitte dietro al quale si scorgono però chiaramente crepe colorate di speranza verso un futuro migliore, cesellato in due mani che si stringono dietro alla perfida inconsistenza del reale, in un fantasma che solo per Lei assumerà contorni umani di carne e sangue, e in un ti amo sussurrato da un cuore limpido come una notte d'estate.

"Non è dato sapere se il mondo in cui viviamo è sogno o realtà": è la frase che compare sullo schermo per chiudere il film, è il riassunto di una presa di coscienza che annienta ogni convinzione e convenzione, è l'invito a tornare nelle nostre case vuote, e dare loro quella consistenza che fino ad oggi mai hanno avuto. Vivendo insieme ai nostri fantasmi, accettandoli per quello che sono, non avendo paura di loro, ascoltando il loro canto d'amore.
Senza bisogno di altre parole.
 


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