Tersicore on screen - Introduzione alla videodanza PDF 
di Simona Da Pozzo   

Sul finire del XIX sec., parallelamente all'invenzione del cinematografo, dalla battaglia artistica che Isadora Duncan, Loie Fuller e Mary Wigman ingaggiano contro il retaggio culturale e ballettistico dell'epoca, nasce la danza moderna. Attraverso l'elaborazione di un nuovo modo d'essere nel corpo, si aprono, all'arte tersicorea, le strade utili a renderla terreno artistico fertile per connubi transdisciplinari e liberarla dal virtuosismo spettacolare.

Culla delle sperimentazioni sono Germania e Usa, ma il palcoscenico e il crocevia di linguaggi per l'affermazione dei nuovi artisti è Parigi. Qui si esibiscono le pioniere della danza contemporanea nella forma tipica del solo, scalze e con tuniche leggere che lasciano finalmente il corpo libero dalla costrizione di corsetti e scarpe a punta: la danza, come discorso sul/con il corpo rinvia subito a nuove visioni del mondo. Questa apertura degli orizzonti compositivi comporta però nuove difficoltà nella trasmissione pedagogica e di repertorio: la danza si trova nuovamente a fare i conti con il proprio essere effimero.


Il contributo determinante all'evoluzione teorica della danza moderna e contemporanea arriva negli anni Trenta dal coreografo pedagogo Rudolf Laban che, con il suo approccio analitico al movimento, struttura un nuovo metodo di notazione coreografica (Labanotation) che resta ancor oggi il più preciso mai elaborato. Il danzatore, inscritto in un icosaedro, danza in base alle direzioni vettoriali del movimento sui vari piani, al senso del peso e della sospensione, dell'energia, della qualità, del tempo. Il vero cambiamento tuttavia è dato dal nuovo "spazio-tempo" in cui la danza può imprimersi: il supporto audiovisivo. Si passa da una documentazione della danza con immagini fisse, litografie, foto, disegni e dipinti (la danza classica era una successione di forme), a un mezzo che è caratterizzato dalla dinamica (la danza contemporanea s'identifica con il susseguirsi di movimenti da/per/verso punti nello spazio). La svolta storica comunque riguarda le radici dell'arte tersicorea: attraverso l'immagine filmata la danza riscrive le sue prospettive, mette in discussione il senso e la destinazione della composizione.

Il video apre la possibilità di tracciare un movimento che resta, che si accumula non solo nelle fibre del corpo del danzatore e nei ricordi dello spettatore, ma vive in uno "spazio-tempo" autonomo formato prima dalla pellicola, e poi dal nastro magnetico e dal supporto digitale. Tutto ciò comporta anche il confronto con un nuovo limite: il passaggio da una realtà condivisa con lo spettatore (sudore compreso), all'immagine bidimensionale; la terza dimensione è un trucco, un'evocazione, una mancanza eludibile attraverso la conoscenza delle tecniche della danza e di quelle cinematografiche. È Philippe Soupault a vedere nella fusione del cinema con l'arte di Tersicore il matrimonio naturale per risvegliare il nostro sguardo: "I nostri occhi sono intossicati, è necessario l'occhio del cinematografo".

 

Danza contemporanea e cinema nascono d'altronde dalla stessa pulsione alla modernità di strumenti e modalità d'espressione; i coreografi traspongono modi e ritmi narrativi del cinema sul palcoscenico mentre i registi portano la danza su grande schermo, primi fra tutti Edison con Dance of the Ages (1913) e David W. Griffith con Intolerance (1916), entrambi grazie ai coreografi Ted Shawn e Ruth Saint Denis. Il dialogo fra le due arti, fin dagli inizi del XX secolo, sviluppa però tematiche più vicine al surrealismo e all'arte astratta piuttosto che alla narrativa; un esempio è l'Entr'acte (1924) dada-surrealista di René Clair per Relâche dei Ballets Suedois. Notevole è l'approccio dell'americana Maya Deren (1917-1961), danzatrice e filmmaker di origine russa che già negli anni quaranta prefigura la videodanza attuale. A Los Angeles, con il cineasta ceco Sasha Hammid (Alexander Hackenschmied), Deren elabora una poetica surrealistica; nei suoi film, realizzati tutti con mezzi amatoriali, i corpi si muovono a grande velocità, compiono azioni a ritroso, scivolano sul suolo senza toccarlo, soverchiano le leggi della fisica.

Il vero boom della videodanza ha comunque dovuto attendere gli anni Ottanta quando, grazie a maneggevolezza e basso costo, la videocamera diventa un mezzo alla portata di tutti, per questo oggi si parla di videodanza e non di "cinedanza". Dopo la lunga egemonia del musical, via privilegiata attraverso cui il cinema si approprierà della danza (spesso jazz, classica o tip tap piuttosto che contemporanea), i coreografi di questo periodo, vera generazione di cinefili cresciuti nella società dell'immagine, si mettono dietro l'obiettivo e lottano tra l'abitudine di intendere il corpo come strumento teatrale e le scelte imposte dall'inquadratura e dal montaggio.


I risultati sono molto variabili: spesso il senso della sperimentazione ha portato gli artisti a scapicollarsi su discorsi autoreferenziali ignorando la specificità tecnica del mezzo video più per ignoranza che per scelta estetica. Ciò non toglie che alcuni artisti o connubi tra artisti abbiano dato vita a nuove poetiche visive e a nuove costruzioni di significato. Philippe Decouflé e la coppia di Angers, Joëlle Bouvier/Régis Obadia, sono esempi di coreografi che hanno creato linguaggi compiuti e universi sensibili. I video La Chambre (1988) e L'Etreinte (1987) della stessa coppia fondatrice della compagnia Esquisse sono opere che, tratteggiate con magnifica fotografia e un audio evocativo, richiamano atmosfere noir. Accanto a questi lavori fortemente fisici, brilla il piccolo capolavoro di Decouflé, regista coreografo e interprete di Le P'tit Bal (1993), dove, in quattro ironici minuti, la poetica dei piccoli gesti trionfa in mezzo a campi e mucche. Merce Cunningham invece, all'età di ottant'anni, dopo numerosi film, è andato oltre, si è lanciato nella programmazione di software come life forms, con cui da dieci anni indaga sulle possibilità del corpo, ma qui si aprirebbe un nuovo tema: la danza e le nuove tecnologie.

Analizzando la tipologia dei lavori presenti ai festival e nelle videoteche, si può notare che negli ultimi anni la videodanza, nella categoria internazionalmente definita screen choreography, si è spontaneamente indirizzata verso il formato corto. La durata media di queste produzioni oscilla genericamente tra i sei e i dieci minuti facilitando la ricerca sull'immagine, sul linguaggio e il contenuto. La brevità dei lavori è forse anche effetto dei problemi di budget che si fanno sentire in modo particolare in Italia. Purtroppo la danza contemporanea e la videodanza non solo non hanno visibilità, ma sono arti aliene al nostro sistema di diffusione culturale. Tralasciando mortificanti paragoni con la scena europea, si segnalano quelle poche realtà che sostengono coraggiosamente la videodanza nel nostro Paese: i concorsi T.T.V. Perfoming Arts on Screen (Riccione), il Coreografo Elettronico (Napoli) e la mostra annuale di Invideo (Milano). I palinsesti televisivi ignorano completamente questi fermenti artistici, l'unico a proporre "cose mai viste" è stato Enrico Ghezzi mandando in onda per Fuori Orario (Rai Tre) i lavori della fiamminga Anne Teresa De Keersmaeker e dei canadesi La La La.

ARCHIVI
- Centro Danza Documentazione e Ricerca Città di Torino, c/o Biblioteca Musicale Della Corte, corso Francia 192, Torino
- Cro.Me, via Lamarmora 36, Milano
- Asac, via santa Croce 2214, Venezia
- Invideo, c/o Medialogo della Provincia di Milano, Via Guicciardini 6, Milano
- Centro Studi Suono e Movimento, Via Trebisonda 5/5a, Genova
- Collezione Giaccari/Il Museo Elettronico, c/o MUel International, Castello di Masnago, via Del Cairo 4, Varese
- Videoteca del Centro Cinema della Città di Cesena, Via Aldini 24, Cesena
- Centro di Documentazione del Festival di Spoleto, Via Filitteria 18, Spoleto (Pg)
- Archivio del Teatro Romolo Valli, Piazza Martiri 7 luglio, Reggio Emilia
- Videoteca del Laboratorio teatrale universitario di Palermo, Vicolo S. Uffizio 15, Palermo

 


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