Dragon Trainer a parte – non a caso prodotto da due ex Disney – è ormai appurato quanto Dreamworks continui, senza successo, a voler percorrere le vie già tracciate dal colosso Pixar senza comprendere la vera differenza che intercorre fra i film prodotti da Lasseter e soci e i normali film d’animazione: l’importanza data alla “sostanza” della storia. Perché ben oltre la tecnica, i colori, le immagini o le battute di un paio di personaggi, che possono risultare simpatici per i due minuti scarsi di trailer, esiste una realtà, quella Pixar appunto, capace di rendere semplici cartoni animati vere e proprie opere d’intrattenimento, tanto da guadagnarsi un meritatissimo Leone d’oro e confermare quanto il loro marchio abbia ormai compiuto il grande salto.
Pur ammettendo che il prodotto Dreamworks è chiaramente indirizzato ad un bacino d’utenza differente, pellicole come Megamind non potranno che incontrare il favore di un pubblico occasionale, che difficilmente si affezionerà al prodotto, o penserà di trovarsi di fronte ad una pellicola destinata a divenire un classico di genere. Basti pensare a Gli incredibili, girato con tecnica sopraffina, tensione e ritmo vertiginosi, caratterizzazione dei personaggi perfetta, e riportare l’opera di Brad Bird a confronto con, per l’appunto, Megamind, uscito con un vantaggio – in termini di tecnologia – di cinque anni, per rendersi conto del divario abissale che corre fra quelli che sono, ad oggi, i due più grandi produttori di pellicole d’animazione americani.
Nello specifico, la trama di Megamind rispolvera omaggi al Superman interpretato da Christopher Reeves mescolandoli con un approccio da nuovo millennio, e strizzando l’occhio al cinema d’azione con le sue esplosioni continue e le distruzioni a tappeto di intere città, una sorta di incrocio fra Iron Man 2 e Cloverfield. L’uso di un protagonista appartenente alle fila dei “cattivi” cerca di dare nuova linfa ad un’idea già stanca, come dimostrato dall’ancora più scialbo Cattivissimo me, uscito poco tempo prima di Megamind, senza minimamente riuscire nell’intento, per nulla agevolato da una sceneggiatura scontata e banale, mai davvero divertente. La stessa regia, tolti i colori sgargianti e il montaggio frenetico dei combattimenti, appare assolutamente anonima, priva di quella personalità in grado di rendere un lavoro comune un’esperienza speciale per lo spettatore, di raccontare anche una storia già sentita come fosse la prima del suo genere. Gli stessi protagonisti, se si esclude il reporter divenuto super per caso e mosso da propositi di vendetta per anni passati a fare da comprimario, appaiono macchiettistici e poco approfonditi, incapaci di suscitare l’affezione necessaria a grandi e piccini per desiderare il rientro in sala, o attendere l’uscita in home video della pellicola per poterla rivedere, e rivedere ancora.
Peccato, perché una volta ancora la Dreamworks, persa ad inseguire la sua più illustre rivale e concorrente, dimentica che il meglio è sempre stato dato quando il pensiero correva al lavoro svolto dai propri professionisti, piuttosto che cercare di replicare le formule vincenti degli “avversari”: il primo Shrek, così come il già citato Dragon Trainer, ne sono la prova. Eppure, sono ancora e sempre troppo pochi, rispetto al numero di titoli proposti, per poter riconsiderare il lavoro svolto dai creatori di Megamind e soci. Vale ancora e di certo la pena, in questo rigido inverno, di rimanere a casa e gustarsi una gemma come Toy Story 3 una seconda o terza volta, piuttosto che avventurarsi nel caos del primo multisala e perdersi nel blu del testone di Megamind. Che, occorre dargliene atto, si impegna il più possibile per farcela, ma è ancora troppo indietro rispetto ai suoi “incredibili” colleghi.
TITOLO ORIGINALE: Megamind; REGIA: Tom McGrath; SCENEGGIATURA: Alan J. Schoolcraft, Brent Simons; MONTAGGIO: Michael Andrews; MUSICA: Hans Zimmer, Lorne Balfe; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2010; DURATA: 96 min.
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