Il cattivo tenente: la tragedia di un uomo “ridicolo" PDF 
Laura Albergante   

Abel Ferrara, ancora oggi, dopo molti anni di attività cinematografica, può essere considerato un culto per non molti carbonari. Pochi ricorderanno New Rose Hotel, con Asia Argento nei panni della torbida prostituta Sandii; o Maria Full of Grace; più probabilmente Go Go Tales, con molti attori italiani di spicco dell’ultima generazione, sarà più noto al pubblico di casa nostra. Classe 1951, nato nel Bronx, quartiere “difficile” di New York, Ferrara ha finora diretto una trentina scarsa di pellicole, tutte dal contenuto in qualche modo delicato. Ferrara ha un personalissimo occhio nei confronti del cinema, già agli inizi della sua carriera, quando dirige uno slasher movie come The Driller Killer, ma anche quando, sotto pseudonimo, gira Nine Lives of a Wet Pussy, un porno.

Ma è in particolare con Il cattivo tenente, del 1992, che Ferrara segna uno dei punti più luminosi della sua filmografia. La sceneggiatura, scritta con Zoe Lund, icona indie, qui nei panni di se stessa, e dallo stesso Ferrara, narra la perdizione di un tenente corrotto, invischiato nella sua tossicodipendenza, malvagità, schiavo del gioco e del sesso. Il tema, sfruttato da molti titoli di genere italiani, soprattutto negli anni ’70, qui assume una sfumatura umana, del tutto assente in altre pellicole. Ferrara ci catapulta, al di là della finzione cinematografica, nel cuore pulsante del suo personaggio, interpretato da un immenso Harvey Keitel, senza mai rivelare appieno la vera identità dello stesso.

Con occhio umano e dolente, ci ritroviamo a partecipare alle vicende di un uomo corrotto, che non riesce più a trovare una stilla di bontà in un mondo irrimediabilmente marcio e senza pietà per nessuno. Inizia così, anche per noi, un viaggio all’inferno, nelle viscere di un Harvey Keitel in stato di grazia. In ogni sua ruga, in ogni sua smorfia, in ogni sua azione immorale pare di cogliere la perdizione dell’uomo che non è più in grado di entrare in contatto con se stesso, di colui che non ha più niente da perdere, colto nella sua essenza più mostruosa, più amorale. Nonostante il soggetto scabroso, dai risvolti quasi blasfemi, Ferrara mostra una grandissima abilità nel trattare la narrazione e la costruzione delle scene. Non si cade mai nell’ovvio, nel ridicolo o nel volgare: ogni fotogramma ha una sua precisa collocazione, e la profonda partecipazione che ci coglie si scioglie in grande compassione, che assume una colorazione cristiana, anche per coloro che non sono credenti. Troviamo anche il tema, qui sono sfiorato, del vampirismo come metafora della dipendenza da droga.

Tale soggetto sarà successivamente sviluppato compiutamente nell’altrettanto poetico e fondamentale The Addiction, “la dipendenza”. L’utilizzo della metafora religiosa, come possibilità di redenzione, permea tutto il film. La droga, il gioco, il sesso estremo, hanno duplice interpretazione: da un lato essi abbrutiscono il personaggio, schiavo di se stesso, dall’altro lato funzionano da fittizia possibilità di scappare da se stessi e da un mondo impietosamente crudele. Sarà l’incontro con la suora violentata e la sua carità cristiana a innescare, come una bomba, un processo di follia ed il tentativo di cambiamento radicale. La suora, colma di comprensione religiosa, perdonerà i suoi aguzzini. Questo destabilizzerà profondamente la psiche del personaggio, ingoiato dal suo stesso stato di natura, inchiodato alla logica di “occhio per occhio, dente per dente” che troviamo così bene espresso da Hobbes nelle sue opere migliori. Il tenente incarna perfettamente il detto latino “Homo homini lupus” fino a quando non avrà l’incontro fatale con la religiosa.

Da sottolineare, in particolare, il talento visionario di Ferrara, che ci colpisce come una frusta e ci fa vedere, con gli occhi sbarrati, tutto quello che c’è da vedere: violenza, morte, peccato, redenzione. La visione, allora, la visione mistica, la follia come uscita da se stesso, come sorta di estasi, verranno in aiuto nel processo di rinnovamento di un’anima tormentata e piena di dolore, che giungerà alla sua pienezza nel momento della morte, arrivata in maniera banale e che chiuderà definitivamente il cerchio: la tragedia di un uomo “ridicolo”, che potrebbe essere uno di noi, che ci coglie emozionati e consci di aver visto un’opera in grado di smuovere qualcosa nel profondo.

 


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