Aspettando This Must Be the Place ... PDF 
Anna Barison   

Il regista napoletano ha presentato alla stampa la sua ultima pellicola This Must Be the Place, girato negli USA con un protagonista d'eccezione, Sean Penn, nel ruolo di una rock star che ha abbandonato le scene e si trova a ripercorrere gli Stati Uniti in cerca del carnefice nazista di suo padre.

Lei ha scelto di collaborare con il musicista David Byrne, leader dei Talking Heads, che ha scritto la colonna sonora e fa un cameo nel film. La musica è una componente fondamentale in questa pellicola ... come mai ha scelto proprio Byrne?
Byrne, oltre ad essere un grande musicista, è anche un regista. Il suo film mi piace molto, tuttavia i riferimenti per This Must Be the Place sono molteplici e variegati. Byrne mi ha ispirato su più fronti - musicale e registico -, ma è stato un processo involontario: in effetti lui in gioventù era un mio idolo. Nel film c'è una sua "dittatura" dal punto di vista musicale, e questa inconsciamente si è ripercossa anche sul punto di vista cinematografico. Con David, io e Nicola Giuliano ci siamo incontrati la prima volta nel camerino di un suo concerto a Torino: gli raccontammo di voler fare un film con Sean Penn, e lui fu molto perplesso. Non ci considerò molto anche se ci disse di sì, ma solo per farci star buoni, senza immaginare che il film poi si sarebbe fatto davvero. A lui poi piaceva l’idea di comporre musica che potesse essere ideata ed eseguita da una band di 18enni. Sulla sua presenza come attore era molto scettico, ma alla fine lo abbiamo convinto!

Il film racconta anche l'Olocausto, attraverso gli occhi e i sentimenti di un figlio che vuole scovare il carnefice del padre. Come ha affrontato questa tragedia in un contesto così lontano?
La prima cosa che voglio precisare è che il mio non è un film sull'Olocausto. Sarebbe presuntuoso dire che ho girato un film che racconta quella vicenda. Si muove su quello sfondo, è vero, ma non lo descrive in maniera storica, lo fa in maniera diversa, come è giusto che sia, perchè volevo, attraverso quella stessa tragedia, raccontare le degenerazioni del comportamento umano, le sue innumerevoli devianze. L'argomento è troppo complesso per essere ricondotto a una sola motivazione. Anche nel film succede questo: ovvero i protagonisti provano a dare delle risposte, ma una risposta definitiva non c'è, e nemmeno io la voglio trovare.

Il personaggio Cheyenne è un uomo che sotto il cerone e il trucco pesante nasconde un'infinita malinconia. Come è stato lavorare con Sean Penn?
Il suo personaggio nasconde questa malinconia, ma va detto che lui è anche portatore di gioia per gli altri. Per quanto riguarda Penn, il lavoro svolto con lui ricalca quello che ho sempre fatto con tutti i miei attori. La grande differenza è che vedendo lavorare Sean Penn ti accorgi che lui è davvero in grado di fare tutto, il che è una caratteristica non comune. Da regista ho rischiato molto, perché pensi di poter fare tutto con una tale bravura a disposizione. Nella sceneggiatura il personaggio era già molto definito, ma Sean ha comunque portato moltissimo, grazie alla sua capacità di aggiungere quello che non c'era scritto: la voce in falsetto e l'idea di parlare così rallentato, che ha quasi dei risvolti comici (e descrive anche il lato femminile del suo personaggio), il modo di camminare (che lui definiva come quello dei ricchi che si sentono in colpa), e le più piccole sfumature che grazie a lui hanno creato un personaggio davvero sfaccettato.

Nel film c'è una scena molto complessa, con David Byrne che canta su un palcoscenico mobile. Una scena magica, ma difficile da realizzare. Come è nata?
Quella è stata una mia idea, cercavo qualcosa che fosse compatibile con ciò che fa musicalmente Byrne. Realizzarla, comunque, è stato molto complicato, principalmente perché il meccanismo che muoveva il tutto doveva essere silenzioso, per non disturbare la musica dal vivo. Ho preferito girarla in un'unica lunga inquadratura, diversamente da quanto accade normalmente per le riprese dei concerti, che sono sempre montate. 

Il suo film può essere ricondotto, per certi aspetti, a Una storia vera di David Lynch?
Non saprei, io spero solo che il mio piccolo film sia un buon film. Una storia vera, comunque, ce l'avevamo come riferimento, specie per l'elemento della lentezza, che torna anche nel nostro film.

La sceneggiatura è stata scritta da lei e Umberto Contarello. Qual è stato lo spunto iniziale per questo film?
Siamo partiti da molti spunti. Credo che un film dev'essere un'occasione per affrontare diversi temi, per parlare di più argomenti, perchè è questo che amo nei film: la possibilità di osservare realtà molteplici. In questo caso volevamo raccontare la storia di un personaggio con certe caratteristiche, ma anche dell'assenza di un rapporto affettivo tra padre e figlio, e, inoltre, volevamo avvicinarci a un tema come l'Olocausto, che rimane comunque sullo sfondo, per ovvi motivi.

Questo è il suo primo film "americano".  Girerà ancora negli USA o tornerà a raccontare la realtà italiana?
Non so se girerò ancora negli USA, è troppo presto per dirlo, vedremo. Di certo la realtà italiana offre sempre molti spunti su cui scrivere, un bel serbatoio di idee. E comunque credo che non esistano film italiani, tedeschi, inglesi: bisogna solo avere una buona idea e le capacità per realizzarla. Non so cosa significhi esattamente "italianità di un prodotto", ma questo mio ultimo film è decisamente italiano.

 


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