Rapidi sguardi: musica e cinema[1/3] - Mahler e Rachmaninov in pellicola PDF 
di Domiziano Pontone   

Partire da Stanley Kubrick per affrontare il tema dell'importanza della colonna sonora nella struttura di un film sarebbe troppo comodo e non certo innovativo. Varie sono le dimostrazioni, estrapolabili dall'opera del regista newyorchese, in grado di esemplificare tale assunto. Si pensi a taluni passaggi di Shining e di Arancia meccanica e si rifletta sull'orchestrazione di intere scene, concepite come sottofondo visivo della musica, piuttosto che semplicemente accompagnate da quest'ultima.

 

Eppure, in siffatti casi, si tratta di una serie di brani che contribuiscono a dettare il ritmo e la conseguenza cinematografica di determinati momenti del film, non di un nucleo basilare sul quale edificare l'intera pellicola. Questo aspetto, portato all'estremo, è invece il marchio comune di due film, diversi fra loro per produzione, origine letteraria, epoca di realizzazione, compositore prescelto, tipologia di regista: Breve incontro (1945) di David Lean e Morte a Venezia (1971) di Luchino Visconti.

Un quarto di secolo separa i due capolavori, ma lo stilema che li unisce è il medesimo: entrambi sono costruiti come una resa visiva del tema principale al quale è affidato il commento della vicenda narrata. Nel caso del film inglese si tratta del secondo concerto in do minore per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninov (o Rachmaninoff, cirillico permettendo), per quanto riguarda il lungometraggio italiano, invece, della quinta sinfonia in do diesis minore - nella fattispecie l'adagietto molto lento - di Gustav Mahler (vi è anche la sua terza sinfonia nella colonna sonora della pellicola, ma senza dubbio è l'adagio il movimento più sfruttato).

Per "resa visiva" s'intende il plasmarsi della storia e dello stile cinematografico intorno alla composizione classica prescelta. Breve incontro propone subito la prepotenza invadente del magniloquente passaggio al pianoforte di Rachmaninov: lo spettatore capisce di primo acchito che la vicenda non potrà concludersi in maniera soddisfacente per i protagonisti.
Morte a Venezia libera lo struggente (e magnifico) stralcio sinfonico del musicista mitteleuropeo solo nel corso della narrazione, infittendone vieppiù l'utilizzo e calcando la mano sulla triste e prevedibile fine del protagonista. Nulla è violento, non lo è l'adagietto prescelto, non lo è la vicenda amorosa di Von Aschenbach, non lo è nemmeno la sua commiseranda morte a Venezia.

 

La decisione di affidare a pezzi classici così evocativi l'accompagnamento dei suddetti lungometraggi è una spia ben precisa delle scelte stilistiche dei filmmaker. La resa plastica dell'amore impossibile tra Trevor Howard e Celia Johnson in Brief Encounter è secca, decisa, scavata in un bianco e nero possente e fumoso, merito del grandissimo Robert Krasker (poi collaboratore proprio di Visconti per lo sfavillante Senso). Rachmaninov, dal canto suo, suggerisce l'amarezza senza vie d'uscita dell'idillio borghese.

Il film di Lean si apre con l'addio tra i due amanti, che sembrerebbe tratto da Liala, se una stupida amica della protagonista non s'intromettesse. Non c'è spazio per le lacrime, i sentimenti devono cristallizzarsi in sguardi impotenti. Intanto, nelle orecchie, sovviene maestoso e inarrestabile il concerto del compositore russo appena udito nei titoli di testa: non vi sono pause nell'esecuzione, non ve ne sono nell'attesa della partenza del treno, non ve ne sono nell'odioso sproloquiare della conoscente di Celia Johnson, non ve ne sono nell'avvicinarsi dell'ultimo saluto.

Morte a Venezia, invece, opta per la dolcezza addolorata di Mahler. La pellicola di Visconti ricevette, non a caso, critiche severe circa la scelta di trasformare Von Aschenbach da letterato a musicista - non rispettando così il libro di Thomas Mann - in modo tale da sovrapporre alla figura, quasi autobiografica, dell'autore di Tonio Kröger quella di Mahler stesso (col quale aveva, in verità, svariate affinità). Ma che la scelta del regista di Ossessione fosse stata dettata soprattutto da una precisa motivazione estetica, si evince dall'analisi dello stile adottato per Morte a Venezia. La macchina da presa vaga lentissima, discopre con saggia pacatezza le scenografie, i personaggi e la messa in scena. I singulti accusatori de La caduta degli dei lasciano spazio a lentissime panoramiche reiterate, a teleobiettivi scrutanti e a close-up incisivi, a zoom all'indietro e in avanti di eleganza ineccepibile (solo Kubrick saprà far di meglio con Barry Lyndon, nel quale inserirà anche Marisa Berenson, oltretutto presente nel film in questione).
Come nel libro di Mann, i dialoghi sono minimi e quasi mai necessari: la musica deve dunque colmare il vuoto. L'adagietto ha la doppia funzione di rammentare costantemente l'esile caducità di Von Aschenbach (che va a Venezia per motivi di salute) e di sottolineare come sia flebile la speranza di costui di concretizzare la sua affettuosità per il giovane Tadzio. I passaggi tormentosi della sinfonia mahleriana dicono più di ogni parola: narrano della torturata impossibilità amorosa e scortano la cinepresa verso movimenti raffinati.

 

David Lean vuole proporre l'idillio e al contempo non vuole concedere "grandi speranze" ai suoi personaggi e all'astante che dovrebbe parteggiare per essi: mette subito in chiaro le cose. Potrebbe far cominciare Breve incontro dal primo casuale rendez-vous e invece - parafrasando Agatha Christie - si affida alla filosofia del "nella mia fine è il mio principio", partendo dall'addio, che si saprà essere straziante grazie a flashback multipli e puntuali. Non si fa in tempo a penetrare nella reale sofferenza della coppia clandestina, perché la triste realtà è subito sotto gli occhi.
Non basta: il cineasta non vuole nemmeno ingannare. Rachmaninov e la sua intemperanza da virtuoso del pianoforte spezzano i fili di speranza circa il possibile happy end. L'impatto destabilizzante dei tasti del piano viene mitigato, parzialmente, da un cambio di registro solo apparente: quello che è un assolo si trasforma in un concerto; ma ciò capita perché la sorte non agisce da sola e, come altri strumenti circostanziano la portata della creazione musicale, così novelli particolari narrativi contribuiscono a condurre gli amanti verso l'inizio e/o la fine. L'autore di Lawrence d'Arabia potrebbe affidarsi a musicisti affermati dell'epoca, come Arthur Wimperis o William Walton o Allan Gray, invece opta per un brano di un autore classico, morto solo due anni prima. Come se il soggetto di Noël Coward fosse letto con un preciso riferimento melodico in sottofondo: quello, appunto, di Sergej Rachmaninov.

Visconti, invece, delega al post-romanticismo "titanico" di Mahler la descrizione della malsana vicenda veneta: i violini della quinta sinfonia del maestro boemo sostengono i pensieri e gli sguardi anelanti di Von Aschenbach, e obbligano la cinepresa di Pasqualino De Santis a scrutare con flemma atarassica il lento discendere di un uomo e di una città verso gli inferi. Le accelerazioni del compositore, invece, sprigionano le ultime stille di energia del patetico personaggio di Dirk Bogarde.

Un cinema, quello di Lean e di Visconti, grandissimo nella sua diversità, eppure accomunato da una sensibilità estrema per l'uso delle musiche e per la centralità conferita alla letteratura. Si pensi anche solo, per quanto concerne la filmografia leaniana, ai temi conduttori che hanno contribuito a rendere immortali film come Il ponte sul fiume Kwai (la nota Colonel Bogey March), Lawrence d'Arabia o Il dottor Zivago (questi ultimi due firmati da Maurice Jarre, poi collaboratore di Visconti per La caduta degli dei). Circa il cineasta italiano, invece, all'utilizzo sagace di classici come Verdi o Bruckner alternato a soundtrack originali di Mannino o Rota.

Una musica, quella di Rachmaninov e di Mahler, altrettanto notevole pur nella differente ispirazione e concezione. Virile e decisa quella del compositore russo, mistica e figlia di una contaminatio filosofica quella dell'autore austriaco d'adozione. Geni diversi che hanno incontrato, dopo la loro morte, estimatori sopraffini in altri due maestri: il Lean di Brief Encounter e il Visconti di Morte a Venezia.

 


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