L'eterno ritorno dell'uguale: Memento e Peppermint Candy PDF 
Salvatore La Fauci   

Premessa
Dove ti trovi? Sei davanti a una pagina e credi sia inutile andare avanti con la lettura. O forse credi che quel che si trova nelle prossime righe sia ordinaria amministrazione. Forse sei uno di quelli che non ha immaginazione, che crede che la vita vada dalla A alla Z e che tutto ciò che si debba fare è seguire il percorso. Se sei uno di quelli, questa lettura non fa per te. La vita scorre come un film. Chiunque desidera un videoregistratore per poter rivedere quel che ha combinato nella vita. Ma immagina cosa succederebbe se invece di vivere la vita partendo dall’oggi per andare verso il futuro, essa partisse dalla fine, dalla tua morte e andasse a ritroso fino al giorno della tua nascita. E immagina ancora cosa capiresti di un articolo di giornale se lo leggessi partendo non dall’inizio ma dalla fine. Prova! Non è la stessa cosa, vero? E ancora: chiudi gli occhi. Li hai chiusi? Adesso sei un anziano, ma col tempo ringiovanirai. Lo sai, te lo senti. Le esperienze che fai adesso ti serviranno per quando sarai più giovane e forte e solo allora capirai il perché di certe scelte che ti hanno portato a diventare quello che sei stato. Perché ti sto parlando di questo scenario impossibile? Perché voglio metterti nell’ottica di ciò che leggerai se deciderai di addentrarti nelle prossime pagine. La tua memoria? Azzerata. Il tempo? Non esiste. L’unica cosa certa è che stai leggendo e che niente va nella direzione che eri abituato a seguire. La memoria ci tiene in vita. La memoria ci uccide. Senza memoria non esistiamo. Ma cinema e memoria hanno una matrice comune che è il tempo che, col suo scorrere incessante, scandisce i ritmi della vita e come essa ha un inizio e una fine ben definiti. Ma si è fatta strada una nuova idea di tempo: si è immaginato cosa potesse essere della nostra vita se esso potesse essere spezzettato, se si potesse andare avanti e indietro a piacimento e, perché no?, cambiare il nostro destino oppure non cambiarlo affatto. Mai come oggi il senso del tempo ha visto un rifiuto così netto. Esso, facendo tesoro della vecchia lezione di Jean-Luc Godard (“in una storia c’è sempre un inizio, un centro ed una fine ma non necessariamente in quest’ordine”), non va in avanti ma all’indietro in una sorta di cinema alla rovescia in cui lo spettatore non riesce a destreggiarsi nella storia se non con un forte ausilio della memoria. Ecco dunque due esempi di pellicole in cui il tempo è rovesciato: Memento (id., 2000) di Christopher Nolan e Bakha Satang (Peppermint Candy, 1999) di Lee Chang-dong.

Memento
Quante volte si dice “non me lo ricordo” oppure “l’ho dimenticato”? L’oblio in cui naviga la nostra memoria, però, è nulla in confronto al disturbo di Leonard “Lenny” Shelby. L’uomo è affetto da perdita di memoria a breve termine. Non è amnesico, in quanto ricorda tutto della sua vita, ma non riesce ad immagazzinare nuovi ricordi dal giorno dell’incidente in cui, per cercare di salvare la moglie da due malviventi, urtò la testa contro uno specchio. La moglie purtroppo è morta, così come uno dei malviventi che la stava stuprando. Ma uno è riuscito a fuggire (si chiama John G.) e la sua cattura è divenuto lo scopo principale della vita di Lenny. Adesso però non riesce a ricordare nulla per più di quindici minuti; dopodiché tutto svanisce come per incanto a causa del danneggiamento dell’ippocampo. Come fare, allora, per scovare l’uomo che gli ha rubato la vita, portandogli via la cosa più cara? Semplice. Leonard si tatua addosso tutti gli indizi che man mano riesce a trovare e grazie a questo ordine e a questo metodo, riesce a vivere una vita “quasi” continuativa. Ogni quindici minuti Lenny deve chiedersi dove si trova e che cosa sta facendo, oltre ad appuntarsi qualunque cosa gli succeda. Non ha nessun amico perché sa di non potersi fidare di nessuno e fotografa con un polaroid tutti i luoghi, persone e oggetti che gli interessano. Ordine e metodo. Il film ha la particolarità di essere montato al contrario partendo dalla fine. La prima scena in realtà è l’ultima in ordine cronologico: da qui, a gambero, si procede fino “all’inizio” della storia. Non tutto, però, è perfettamente continuo. Le scene sono intervallate da alcune sequenze in bianco e nero, che corrispondono all’inizio della storia e che spiegano la situazione in cui Leonard si trova. Le scene in bianco e nero e quelle a colori si susseguono con un ritmo sempre più incalzante, accompagnandoci alla scoperta dell’assassino assieme a Leonard. Nolan utilizza un montaggio così vario, con così tanti salti temporali e molto spezzettato per far respirare lo stesso profumo di carta che avverte il lettore sfogliando le pagine di un libro, in quanto in quest’ultimo, l’autore può spaziare molto di più, mostrando chiaramente cosa pensa il protagonista. Mementoè girato al contrario come il percorso a ritroso che segue la nostra memoria nel ricordare. Le nostre azioni hanno un senso se poi non le ricordiamo? Può essere un bene a volte dimenticare? Il film, dunque, è un viaggio alla riscoperta della memoria. Noi siamo Leonard e come lui non ricordiamo nulla. Quello che ci viene mostrato è accaduto e non sappiamo perché. La domanda non è “cosa succederà?”, ma “perché è successo?”. Leonard fa tabula rasa dei nuovi ricordi, ma cerca di riviverli nuovamente attraverso foto e tatuaggi. Paradossalmente e provocatoriamente, la sua memoria è più forte di quella di qualsiasi altro, in quanto supportata da materiale visivo. Ciò che è provabile esiste; il resto è solo un qualcosa di cui l’unico custode è la fallibile mente umana. Ma Lenny può essere facilmente raggirato e usato per altri fini se si sfrutta abilmente questo suo disturbo. Quando Teddy (l’uomo che Lenny crede responsabile del suo disturbo) lo ammonisce che quella che sta vivendo non è la realtà, ma che sta mentendo a sé stesso per sentirsi meglio, l’uomo ha un attimo di indecisione. Teddy afferma che quel John G. lo ha già ucciso, ma Lenny non riesce a ricordarselo. Inoltre la moglie è viva ma lo ha lasciato in quanto non riusciva ad accettare la sua perdita continua di memoria. Forse è vero: questa verità creata da Leonard serve per avere uno scopo nella vita in quanto il mondo è pieno di John G. da trovare e da giustiziare. Se così fosse, Lenny avrebbe solo bisogno di un puzzle da risolvere. Così non sa cosa fare, non vorrebbe credere alle parole di Teddy ma i suoi ricordi sono distorti. Forse, imparando con l’iterazione, ha davvero assimilato nuovi ricordi convincendosi che la moglie è morta invece che accettare l’orrenda verità. Poi, convinto dalla forza dei fatti e delle prove che ha sotto mano, gli spara, convinto che sia l’assassino di sua moglie. Il colpo di pistola è conclusivo pur facendo da prologo ad un medesimo incipit. Il tempo si chiude in circolo rimettendo in moto quell’eterno divenire dell’identico. Dalla sua fine, così, il film ha di nuovo inizio.

Le caramelle della memoria
Peppermint Candy è un viaggio a ritroso nel tempo che parte dalla morte del protagonista e torna indietro di vent’anni nel luogo in cui ha avuto inizio l’intreccio diegetico. La scena iniziale e quella finale coincidono nel luogo (un pic-nic tra amici) e nell’inquadratura, cioè un primo piano di Kim (Sol Kyung-gu). Nella sequenza d’apertura Kim è morto dopo essersi fatto travolgere da un treno e giace su delle rocce. In quella finale, invece, il suo sguardo ringiovanito guarda in alto verso quella ferrovia sopraelevata su cui vent’anni dopo morirà. In lontananza si avverte l’incedere d’un treno che si avvicina mentre una lacrima sgorga sul volto del protagonista che ha la consapevolezza di essere all’interno del proprio déjà vu, in un nietzschiano “eterno ritorno dell’uguale”. Un tempo intasato, coatto, costretto ripetersi, condannato all’eterno remake dell’identico, spogliato dalle valenze cosmiche e pacificanti attribuitegli dall’anima arcaica, e che ancora il Nietzsche dello Zarathustra avrebbe voluto assegnargli, l’Eterno Ritorno delle cose è la formula in cui meglio può riassumersi l’ingorgo dell’epoca postmoderna. Tutto il film è diviso in scene, spezzoni della vita di Kim che sono intervallati da un treno che viaggia all’indietro, come una macchina del tempo mentale che lo (e ci) riporta all’inizio della storia, del suo amore per Sunim (Moon So-ri). Accompagnano il film anche quelle caramelle alla menta (peppermint candy) che sono i dolci che Sunim regalava a Kim e che scandiscono gli attimi fatti di sofferenza e di vecchie ferite forse mai rimarginate. Caramelle alla menta che richiamano alla mente quella Proustiana Madeleine che permette un tuffo nel triste passato. Il tempo scorre mentre una macchina fotografica non ha mai immortalato un’immagine come a sottolineare la consapevolezza che nulla si può fermare perché l’uomo corre sui binari delle proprie scelte, giuste o sbagliate che siano. Indietro si torna solo per ricordare ma non per cambiare le cose. Quel “tornerò!” urlato da Kim un attimo prima di morire e su cui la mano del regista blocca il tempo, sembra significare il rimpianto per qualcosa che è stato e non potrà tornare mai. Una sceneggiatura legata ai ritmi di un passato sempre pronto a ritornare attuale quando si lasciano scorrere i fiumi della memoria. Peppermint Candy ha visto la luce pochi mesi prima dell’opera di Christopher Nolan, Memento. Pur essendo costruito in maniera molto simile, il film di Lee Chang-dong ha ritmi più dilatati, è più poetico, è quindi più distante dal thriller psicologico del regista britannico. La durata della storia si articola su di un piano temporale più lungo: vent’anni contro pochi giorni. Inoltre la scansione temporale è palesata dai titoli che il regista coreano attribuisce alle varie scene del suo film. Nulla di tutto ciò si ritrova in Memento in cui lo spettatore è disorientato dal non avere una scansione temporale, quasi perdesse, come il suo protagonista, la memoria ogni quindici minuti. Nel film di Lee Chang-dong i salti indietro nel tempo sono anche di parecchi anni e scavano in modo molto profondo nell’animo del protagonista, nei suoi sogni e nei suoi amori. Quel treno che corre all’indietro non è solo il treno del tempo, è anche la locomotiva della memoria che apre una transizione da una scena all’altra ritornando prepotentemente in ogni sequenza. Ad un certo punto il binario sul quale il treno sta correndo, si sdoppia. C’è la possibilità di andare da una parte o dall’altra. Due possibili scelte, una sola difficile scelta. Ma in quel viaggio a ritroso la scelta è già stata compiuta. A noi interessa solo sapere i motivi che l’hanno consentita. Cos’è che non ricordiamo? O meglio, cosa non vogliamo ricordare? Cosa ci spinge a tornare indietro e a prendere il treno dei ricordi? Probabilmente la voglia di cancellare i nostri errori e di cambiare il nostro passato. Ma quella scena finale, il pianto di Kim, ci dimostra che tutto è già scritto e niente potrà cambiare l’immutabile destino. E quella canzone cantata da Kim proprio a metà racconto, ci mostra il filo conduttore del film. È il ricordo, la memoria labile e che può essere solo nostra e di nessun altro, perché nessuno può vivere ciò che è stato, meglio di chi ricorda a modo suo. Kim non è smemorato: il montaggio all’indietro serve ad accompagnarci alla ricerca della gioventù e della felicità perduta. Anche lui va in giro con una macchina fotografica, una polaroid. Ma a differenza di quella di Leonard, essa non ha mai scattato neanche una fotografia. Ha accompagnato Kim attraverso la sua esistenza e gli è stata donata dall’amore della sua vita, morente. Leonard la usa in continuazione per ricordarsi cosa ha appena fatto, per vivere nel presente. Kim non l’ha mai usata, quasi a simbolo di una memoria che non va rinvangata perché troppo bruciante e crudele. Se non si hanno prove, allora le cose non esistono. Kim non scatta una foto; a Leonard, per dimenticare, gli basta strappare quell’istantanea, e… non è mai successo. In questo modo, quello che propone Memento non è tanto, in primo luogo, un’inversione in senso stretto della narrativa cinematografica convenzionale, come in secondo luogo una violazione del verosimile filmico, poiché il racconto che ci si presenta non solo è raccontato “al contrario” ma anche ciò che narra può anche essere “invertito”, cioè che non corrisponde alla realtà empirica del racconto (l’ambiente fisico in cui si muovono i personaggi), bensì a una realtà mentale (tutto può essere prodotto dalla immaginazione del protagonista).

 


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