La Sentinelle PDF 
Marianna Marino   

Il primo lungometraggio di Desplechin presenta delle atmosfere molto diverse dal suo esordio dell'anno precedente, La Vie des morts: circoli in cui si incrociano rappresentanti della diplomazia e della lirica, dimore più o meno lussuose della capitale francese, hotel a molte stelle, stazioni ferroviarie, facoltà universitarie, laboratori di medicina legale. Tutto sembra configurare un paesaggio urbano e umano in netto contrasto con gli interni domestici e provinciali della sua opera prima. Anche la misura stilistica adottata è molto diversa, come risulta evidente dal tipo di riprese e dalla fotografia, aspetti modificati naturalmente anche da questi ambienti più estesi e meno raccolti. Oltre che dagli spazi, il cambio di misura è apportato dalle tipologie umane inquadrate: il film si apre con una sorta di prologo che intervalla squarci verdi del paesaggio che circonda l'ambasciata di Francia a Bonn a un aneddoto riguardante una conversazione tra Churchill e Stalin svoltasi a Mosca nel 1943 (una sorta di preparativo di Yalta), in cui i due potenti si sarebbero spartiti l'Europa all'oscuro di Roosevelt. Il passato, in questo caso, si configura innanzitutto come Storia, mettendo in scena i postumi della Seconda Guerra Mondiale, con le sue ferite mal rimarginate, e della Guerra Fredda, i cui strascichi non perdono consistenza quasi cinquant'anni dopo.

La memoria collettiva si intreccia a quella familiare di un espatriato che ritorna al paese d'origine, Mathias (E. Salinger, che ottenne per la sua interpretazione il César come “Meilleur espoir masculin” e il Prix Michel Simon nel 1993), figlio di un diplomatico francese residente in Germania, morto ormai da tredici anni. Il padre di Mathias è la sentinella cui si riferisce il titolo: malgrado la nostalgia della Francia, egli aveva scelto questa forma di esilio per vegliare (come una sentinella, appunto) alla frontiera della patria. Una sequenza hitchcockiana in treno mette in scena il vero e proprio inaugurarsi dell'azione: Mathias incarna la classica figura di innocente travolto da eventi che non conosce, e la cui vera essenza è destinata a sfuggirgli e a sopraffarlo. Scambiato forse per qualcun altro, è costretto a subire un violento interrogatorio da parte di un misterioso sconosciuto legato al mondo dello spionaggio. Dopo aver scoperto che Mathias si occupa di medicina legale, l'uomo ribatte: “Tu t'occupes de morts... c'est bien: il faut s'en occuper”. Ecco dunque apparire il primo vero legame con la tematica forse più cara al regista: la memoria dei morti. Una tematica che per Mathias acquista sfumature più complesse, in quanto essa non si limita al culto dei Penati, al ricordo del padre (la cui tomba compare nel prologo tedesco), ma diventa sguardo che interroga la morte anche nelle sue versioni più anonime e crude (si veda la lezione/autopsia in cui appare uno scapigliatissimo Mathieu Amalric, attore che ritornerà in molti altri film del regista, trasformandosi quasi nel suo alter ego). L'aspetto “familiare” è invece caratteristica quasi tecnica del film, in quanto Desplechin sembra avvicinarsi ad ogni opera in maniera rituale, riunendo puntualmente la sua “famiglia cinematografica”. Senza dimenticare che lo stesso fratello dell'autore, Fabrice Desplechin, appare nel film nelle vesti di un collega universitario di Mathias.

Malgrado la dimensione storica che fa da base alla vicenda, il regista sembra attirato soprattutto dagli aspetti più personali (relazioni amicali, inclinazioni amorose), dallo stretto rapporto che si crea tra Mathias e la testa (rimpicciolita secondo le usanze degli indios Jivaro) che egli ritrova nel suo bagaglio dopo l'arrivo a Parigi. Dopo uno choc iniziale, la curiosità e l'affetto si sostituiscono allo sgomento. La testa del giovane studente e quella decapitata dello sconosciuto si avvicinano, si accostano nella medesima inquadratura, instaurando un'intimità radicata innanzitutto nell'investigazione: la testa è una traccia di cui Mathias vuole ridisegnare il percorso, avventurandosi in imprese sicuramente fuori dalla sua portata (e che segneranno la sua sorte personale in modo irreparabile). Salinger ha il merito di accentuare l'opacità e l'inconsapevolezza del suo personaggio, insistendo soprattutto sul livello fisico dell'espressività: Mathias è, infatti, una figura abbastanza ermetica, e sembra delegare la comunicazione principalmente al suo corpo, che trema, si contorce, sanguina improvvisamente dal naso.

La struttura di questo film piuttosto lungo (Desplechin ama i minutaggi consistenti) è articolata in vari capitoli: le fantôme; vivre avec; le remords; les ambassadeurs; mon meilleur ennemi; cavalier seul (che è anche il titolo dell'ultimo libro del padre di Nora in Rois et Reine); la guerre. L'articolazione riguarda anche la sintassi (presenza di flashback, fluidità che si alterna a stacchi netti come, per esempio, nel montaggio più scandito e intervallato da inquadrature nere al momento dell'apertura della testa) e il registro del film, poiché La Sentinelle presenta una tessitura di vari generi cinematografici (thriller/film storico/spy story/film psicologico/sentimentale...). Un mélange eclettico che rappresenta una delle principali originalità di quest'opera, benché non ci si possa esimere dal notare una certa sensazione di irresolutezza nel modo in cui l'autore, forse ancora un po' troppo acerbo, annoda queste molteplici suggestioni.

TITOLO ORIGINALE: La Sentinelle; REGIA: Arnaud Desplechin; SCENEGGIATURA: Arnaud Desplechin, Pascale Ferran, Noémie Lvovsky, Emmanuel Salinger; FOTOGRAFIA: Caroline Champetier; MONTAGGIO: François Gédigier; MUSICA: Marc Oliver Sommer; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 1992; DURATA: 139 min.

 


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