Pola X PDF 
Monica Pentenero   

Pola è un acronimo che allude al titolo in lingua francese di un romanzo di Herman Melville pubblicato nel 1852, Pierre ou les ambiguités, mentre il numero romano X indica semplicemente che si tratta della decima versione della sceneggiatura. Il carattere di acronimo ben si adatta anche al film che, pur essendo piuttosto lungo (134’), lascia la sensazione che alcuni passaggi avrebbero bisogno di qualche spiegazione supplementare. In ogni caso, quanto effettivamente proposto da Leos Carax offre di per sé numerosissimi spunti di riflessione, a partire da una prima considerazione, meramente biografica, poiché non può lasciare indifferenti il pensiero che gli interpreti dei protagonisti Pierre e Isabelle, rispettivamente Guillaume Depardieu (1971-2008) e Katerina Golubeva (1966–2011), siano entrambi morti piuttosto giovani e che fra loro e i personaggi in questione ci fosse una sinistra somiglianza.

La parte più densa di simbologia nel film è la prima, che vale la pena analizzare nel dettaglio. Vengono presentati Pierre Valombreuse (le teorie sul nome qui si sprecano), aitante rampollo che vive in un irreale maniero nel nord della Francia, e le donne che ruotano attorno a lui, ossia la madre Marie (una Catherine Deneuve volutamente troppo affascinante) e la fidanzata Lucie (Delphine Chuillot). Durante questa prima parte di avvicinamento ai personaggi viene evocata un’ulteriore figura femminile, che con la sua apparizione in carne ed ossa spazzerà via Marie e Lucie: è Isabelle, una straniera che afferma di essere la sorellastra di Pierre. Per dirla semplicisticamente, Pierre perde la testa e scappa con questa misteriosa vagabonda, andando incontro a un triste destino. Come viene preannunciato tutto ciò nella parte iniziale di Pola X? Pierre conduce una vita pressoché perfetta, ma i segni del cambiamento che di lì a poco stravolgerà la sua esistenza e quella dei personaggi che lo circondando sono già evidenti. Ad aprire il film provvedono alcune sequenze in netto contrasto: spiazzanti immagini in bianco e nero di un bombardamento aereo che colpisce tra l’altro un cimitero, cui fanno seguito quelle dell’imponente villa dei Valombreuse, a colori; vengono quindi intervallate scene dove Pierre corre a bordo della moto del suo defunto padre ed altre dove percorre un tratto di fiume su un battello e poi attraversa il parco che circonda l’abitazione di Lucie con un contrasto tra staticità e movimento che fa suonare il primo campanello d’allarme. Ad amplificare questa sensazione sono gli specchi in cui il giovane si imbatte più volte e che certo non sono stati inseriti casualmente sul suo percorso, tanto che è lo stesso Pierre a dire alla fidanzata, per gioco, cosa sta succedendo: infilandosi clandestinamente nel letto di lei, che lo chiama per nome, risponde di essere un altro. In quel momento non è vero, o almeno non del tutto, poiché il suo percorso è appena cominciato, ma ben presto Pierre diventerà effettivamente un’altra persona.

Da qualche tempo il giovane sogna un volto di donna che non riesce a identificare, ma che evidentemente lo turba: un pomeriggio, mentre sta chiacchierando con il cugino Thibault, inseparabile compagno suo e di Lucie fino a qualche tempo prima, i ragazzi si accorgono di una sconosciuta che li osserva da lontano e Pierre, certo che sia la donna che gli appare nel sonno, si getta all’inseguimento. Agitato e frenetico, avendo ormai perso di vista la strana figura, Pierre cade dalla moto, che poco più avanti cadrà a terra una seconda volta, e non è difficile interpretare queste cadute reali come simbolo della caduta cui andrà incontro rapidamente Pierre, dopo aver finalmente raggiunto la ragazza che lo tormenta e averne scoperto il segreto. È quindi dopo mezz’ora di evocazioni sempre più insistenti che entra in gioco Isabelle (anche se ci vorrà un’altra mezz’ora prima di vederne il viso alla luce del sole), presentandosi con un bellissimo monologo di 6’ nel buio di un bosco, nel quale confessa a Pierre di essere sua sorella, figlia del suo stesso padre e di una donna morta nel darla alla luce. Forse Pierre non crede del tutto alle sue parole, forse non si tratta neanche della donna che ha sognato e che ricorda di aver visto molti anni prima, ma ciò che Isabelle gli dice è per lui sufficiente: manda all’aria il suo fidanzamento, si congeda in malo modo dalla madre, che evidentemente gli nasconde qualcosa, e fugge a Parigi con Isabelle. Quante più volte Isabelle tiene a ribadire che quanto ha rivelato a Pierre è la verità, tante più sono le volte in cui lui sottolinea che in ogni caso una scossa come quella provocata dal loro incontro era proprio ciò di cui egli aveva bisogno. Il loro primo approdo a Parigi non è certo un luogo qualunque, bensì un appartamento nel boulevard dedicato al rinnovatore Haussmann, altro rimando al radicale cambiamento cui, ormai è ovvio, Pierre non è in grado di sottrarsi. Quello che arriva nella capitale è un Pierre fisicamente provato, destabilizzato, in crisi artistica: è l’autore di un romanzo considerato il simbolo della sua generazione, ma ora che ha perso tutte le certezze su cui si basava la sua vita privilegiata, si chiede di cosa potrà mai scrivere ancora.

Pierre e Isabelle diventano l’ossessione l’uno dall’altra, tanto da non sembrare toccati dalla morte della bambina che fa parte della loro misera carovana e da essere contenti di poter entrare a far parte di una strana comunità, che Thibault definirà una setta, sotto la quale si nasconde un campo di addestramento per miliziani dell’est europeo. Sono finalmente insieme, lontani da tutto. Durante la permanenza in questo squallido casermone, Pierre si fa beffe (o, piuttosto, si farebbe beffe, se avesse conservato un punto di vista limpido e non ottenebrato dai fantasmi) delle convenzioni sociali, tralasciando la cura di sé e arrivando ad avere rapporti incestuosi con l’istigatrice Isabelle. Torniamo però per un momento a Thibault, una figura che appare marginale, ma che ha in realtà un ruolo assai importante nel passato e nella mente di Pierre, tanto da far pensare che il rapporto fra i cugini avesse un che di morboso. Nella comunità in cui lui e Isabelle vivono, Pierre trova un sostituto di Thibault, il capo della comunità, un biondo dai modi nazisti che dirige un’orchestra sui generis e non parla che inglese con tono sprezzante.

Nella singhiozzante narrazione del percorso di de-formazione di Pierre trovano posto anche due sequenze, una erotica, l’altra onirica (ma i termini potrebbero confondersi fra loro). Il sesso fra i due fratellastri lascia ben poco all’immaginazione, apparendo anzi assolutamente reale, tanto che la scelta di luce e colore operata dal regista è stata provvidenziale. La seconda scena vede Pierre e Isabelle, nudi e appassionati, trasportati dalla corrente in un fiume di sangue ed è decisamente inquietante, al pari delle scene in cui il biondo pazzo dirige l’orchestra quasi come se ne possedesse mentalmente gli elementi. Lucie non accetta di essere abbandonata da Pierre e lo raggiunge, implorando di permetterle di restare con lui nell’orribile posto che ha scelto per vivere, facendo da contraltare all’opposta Isabelle: una bionda stretta in cappotto bianco e una mora arresa ad una giacca scura. La camera di Pierre è stretta fra le stanzette di Isabelle e Lucie, la prima amante, la seconda ora nel ruolo di sorella. Nella sfrenata corsa di Pierre verso il suo disfacimento non viene risparmiato nessuno: Lucie, abbandonata, perde la ragione, Marie muore cadendo dalla moto appartenuta prima al marito e poi al figlio, Thibault viene ucciso da un Pierre delirante e zoppicante, Isabelle si suicida buttandosi sotto un camion in corsa.

 


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