Vita di Pi PDF 
Amon Rapp   

Pi, giovane sognatore, inquietamente alla ricerca di una propria via spirituale, lascia l’India per trasferirsi in Canada, dove la famiglia spera di ricostruirsi una vita mettendo in vendita gli animali che popolavano lo zoo di loro proprietà. Tempesta, naufragio, deriva. In pochi istanti Pi si ritrova sperduto su una scialuppa di salvataggio: unica compagna una feroce tigre del bengala, Richard Parker, miracolosamente sopravvissuta all’inabissarsi della nave. In un viaggio tra le immensità dell’oceano pacifico, Pi e Richard Parker saranno costretti a una difficile convivenza: pericoli e privazioni sembreranno avvicinare uomo e animale, stringendoli in un legame tanto inconsueto, quanto illusorio.

Ang Lee porta sullo schermo il romanzo di Yann Martel cercando di mettere in scena un racconto di formazione con venature immaginifiche e rimandi all’universo fiabesco delle Mille e una notte, ai viaggi per mare di Gordon Pym, all’India avventurosa di Kipling. Ma il prodotto finale è quanto di più scontato potevamo aspettarci. Stracolmo di omaggi e citazioni, l’ultimo lavoro del regista taiwanese si tramuta ben presto in un agglomerato di stereotipi visivi e luoghi comuni narrativi. Se la parte iniziale ambientata in India sembra un’innocua riduzione dal libro Cuore, traboccante sdolcinatezze e ritratti acqua e sapone, il secondo arco narrativo riacquista sì un certo livello di tensione drammatica, ma appiattendosi su un’unica dimensione emotiva. Penalizzato da un doppiaggio a dir poco imbarazzante, il film procede intervallando momenti dolceamari a picchi picareschi, senza mai raggiungere vette di autentico pathos. Paradossalmente, la forza del film risiede proprio nel suo non cedere a un facile sentimentalismo, rappresentando un banale quanto impossibile rapporto di amicizia tra il mondo umano e il mondo animale: uomo e tigre restano un mistero l’uno per l’altro, il loro incontro non ha alcuna possibilità di evoluzione, e tutto ciò che sembra unirli si rivelerà nient’altro che facile proiezione, un’immagine contenuta nell’occhio di chi guarda. Tuttavia, pur resistendo alla tentazione di magnificare un ritorno a una fantomatica comunione con l’universo naturale, il film di Lee non riesce a disancorarsi da un ritratto meccanicistico dei suoi personaggi, perché cristallizza le loro relazioni in automatismi comportamentali, in risposte ripetute e in schemi prevedibili. Il rapporto tra i due protagonisti, afflitto dall’impossibilità di comunicare e minato dalla diffidenza reciproca, stenta a decollare e si attorciglia su meccanismi circolari che crescono a spirale attorno a uno stesso asse.

In questo trionfo del cliché, l’unico elemento che riesce a scombinare leggermente le carte in tavola è il finale a sorpresa, che, proiettando una luce di ambiguità su tutta la vicenda e sul suo narratore, riesce a increspare la calma piatta regnante fino a quel momento. Sogno e realtà, lucidità e follia si intrecciano improvvisamente in un gioco di specchi, risollevando il tono generale dell’opera di Lee. Ma è troppo tardi ormai per modificare un giudizio che troppe conferme ha ricevuto nell’arco delle due ore precedenti.

Titolo originale: Life of Pi; Regia: Ang Lee; Sceneggiatura: David Magee; Fotografia: Claudio Miranda; Montaggio: Tim Squyres; Scenografia: David Gropman; Costumi: Arjun Bhasin; Musiche: Mychael Danna; Produzione: Fox 2000 Pictures, Haishang Films, Rhythm and Hues; Distribuzione: 20th Century Fox Italia; Durata: 127 min.; Origine: USA/Cina, 2012

 


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