Romero è tornato. E con lui i morti viventi. Sono passati 37 anni dal 1968, anno zero del cinema horror in cui due pellicole totalmente agli antipodi a livello di budget, ideologia e struttura (La Notte dei Morti Viventi e Rosemary's Baby di Polanski) sconvolsero ogni definizione del terrore entrando a pieno diritto nella leggenda. 37 anni, e 20 di distanza da Il Giorno degli Zombi, ultimo – finora - capitolo della trilogia romeriana, il più sanguinolento e il più politicamente esplicito.
Finalmente la lunga, lunghissima attesa è stata premiata: Land of the Dead non entrerà nella storia, non rifluirà nel ristretto ricettacolo dei capolavori, non tocca le profonde significazioni dell'opera sessantottina e non inventa nulla né tecnicamente né narrativamente; ma Romero è ancora un maestro, e riesce con intelligenza e sagacia stilistica a dipingere una lotta di classe cruenta e disperata, metafora indulgente di un mondo buio e perduto, in cui l'oppressione uccide la speranza.
Questa volta sono i morti viventi a dominare il terreno, una vera e propria tribù, immensa e in continua crescita, che abbandona la bestialità primordiale tipica dei lavori precedenti per riappropriarsi gradualmente di una nuova umanità, di una nuova ragion d'essere, di una capacità di ragionamento inedita e minacciosa. Inizialmente essi vivono, o meglio fingono di vivere, trovando piena similitudine con gli uomini, impegnati unicamente a combattere una guerra senza fine per la sopravvivenza. Uomini divisi gerarchicamente in classi sociali rigorose e intaccabili, imprigionati nella città-fortezza di Fiddler's Green dove i ricchi stanno (letteralmente) sull'attico, in giacca e cravatta tra champagne, centri commerciali e concilianti voci femminili, capitanati da Paul Kaukman (figura avida e supponente nella quale è facile leggere rimandi a personaggi dell'attualità statunitense), a bearsi di un finto benessere costruito artificialmente come unico rimedio contro la progressione numerica degli appestati, e la gente comune vagabonda invece per le strade lacerandosi tra sporcizia, malattie e battaglie quotidiane. Un microcosmo ordinato, quasi geometrico, in cui i rancori personali e le invidie si diffondono sottopelle senza quasi mai esplodere, e i sogni di un mondo migliore vengono soffocati sul nascere dall'arbitrarietà del potere. Fino a quando loro, i morti viventi, non decidono di tornare a scuola, di re-imparare l'uso di armi e strumenti contundenti, di eleggere un capo e di darsi regole, di ricordarsi com'era essere umani per riunirsi tutti insieme sotto un unico conscio disegno di distruzione. Un processo di neo-alfabetizzazione che raggiunge l'apice nel momento in cui questi ex-cannibali senza ingegno riescono (nella sequenza più bella del film) ad attraversare il fiume che li separa dalla città, squarciando il silenzio e riemergendo dalle acque purificati dai loro limiti, rinascendo come esseri geneticamente nuovi, mondati dalla precedente ottusità, pronti a conquistare ciò che resta del mondo.
Romero padroneggia con sapienza i diversi sbocchi narrativi che si alternano in un montaggio veloce e quasi mai indeciso (la marcia di avvicinamento degli zombi verso Fiddler's Green, il recupero del veicolo blindato Dead Reckoning, l'annientamento di Kaufman, il manipolo di eroi in fuga verso la salvezza), accarezzando in più punti l'action e il war movie senza però mai dimenticare la base horror del suo progetto, e dipinge un'efficace metafora della politica irruenta e militarmente delirante dell'America contemporanea. L'umanizzazione degli zombi si allontana velocemente dal rischio del ridicolo offrendo invece nuova linfa a queste creature mai così reali nei loro sguardi lacerati e contusi, e i vivi e i morti, a conti fatti, non possono fare altro che amalgamarsi insieme nella ricerca di un posto dove andare, in cui essere liberi e vivere davvero, senza più fingere di farlo.
Apprezzabile la fotografia soprattutto nelle scene notturne, discrete le scelte musicali, inadeguato (al solito) il doppiaggio italiano. Buone interpretazioni di Simon Baker e Leguizamo, mentre Hopper e Asia Argento se la cavano con mestiere. Divertente cameo del mago degli effetti speciali Tom Savini (con tanto di machete), e sangue che scorre a fiumi, tra dita mangiate, tendini strappati, teste sgozzate e viscere dilaniate, in un entusiasmante succedersi di sequenze splatter di notevole impatto grandguignolesco. Il vero horror è ancora vivo, grazie anche alla tenacia di chi ha fortemente voluto questo film: George A. Romero, da Pittsburgh, Pennsylvania. 37 anni dopo.
|