Reservation Road PDF 
Roberto Castrogiovanni   

ImageLa strada è uno dei simboli cinematografici per eccellenza, un vero e proprio “oggetto significante” su cui si è fondato addirittura un intero genere, per l’appunto il road movie. Il tragitto su asfalto è, nella maggior parte dei casi, dichiarata metafora dello scorrere esistenziale, e per tale motivo viene spesso associato ad attributi vitalistici come la libertà e l’autoaffermazione del proprio destino. Reservation Road ribalta tutti questi connotati, fondando il proprio nucleo narrativo su un’unica, potente, immagine: quella del “crocevia della morte”, in cui si scontrano i destini di due famiglie che prenderanno una strada senza ritorno.

L’evento da cui scaturisce lo sviluppo del film è, infatti, un dead end, nella doppia accezione anglosassone di “vicolo cieco” e di “conclusione dell’esistenza”. La morte è quella del piccolo Josh Learner, investito sulla via che dà il titolo al film. Ma in quell’attimo cessano le esistenze anche dei coniugi Learner (Joaquin Phoenix e Jennifer Connelly) e di Dwight Arno (Mark Ruffalo), che ha causato l’incidente mentre portava il figlio Lucas dalla ex-moglie. Reservation Road si costruisce a partire da questo spunto raggelato già in partenza. L’intreccio non si sviluppa, ma rimane sospeso in una stasi criogenica, quasi che a esser morti fossero in realtà tutti i protagonisti. Il padre di Josh, Ethan Learner, è come se non avesse mai lasciato il luogo dell’incidente. La sua vita non va avanti: è inceppata, quasi in un freeze frame, su quel tratto d’asfalto maledetto. Ethan annulla se stesso nell’ossessione di trovare il colpevole, al costo di sostituirsi alla polizia nelle indagini e, se necessario, anche di farsi giustizia da solo. Dwight Arno, invece, pare aver condotto un’esistenza immobile sin da quando ha divorziato con Ruth (Mira Sorvino) ed è costretto a vedere il suo Lucas solo una volta a settimana. In un certo senso, per lui anche Lucas è come se fosse morto. L’incidente per Dwight è solo la presa di cognizione ultima di una vita segnata dall’errore e dal fallimento (prima di tutto in quanto padre), cui alla fine forse è concessa una possibilità di riscatto.

Mettendo in un incrocio, è il caso di dirlo, le vicende parallele di due padri incapaci di risolvere un rapporto contraddittorio con la propria famiglia, Terry George dispiega una vera e propria cartografia dei sentimenti, intrecciando questioni complesse senza tentare soluzioni accomodanti, quali l’elaborazione del lutto e l’obbligo di fare i conti con le proprie responsabilità. Ma soprattutto l’imprevedibilità, l’inspiegabilità e l’insensatezza del dolore. In questo senso è legittima anche l’interpretazione in chiave politica, suggerita da alcuni critici e avvallata sia da un riferimento esplicito all’11 settembre, sia dalle inclinazioni di Terry George, candidato all’Oscar nel 2005 con Hotel Rwanda. Piaccia o no, gli americani si trovano ormai da anni faccia a faccia con la morte, e hanno spesso reagito mossi esclusivamente da paura e rabbia. La regia di George si affida ai principi della trasparenza e della non ingerenza, e affronta temi di estrema delicatezza con una complessità dialettica e un rigore quasi morale. Nel fare ciò si appoggia alla solidità dell’omonimo romanzo di John Burnham Schwartz e, soprattutto, si affida al lavoro compiuto sui caratteri in sede recitativa. La fiducia è ampiamente ripagata da un quartetto di attori - forse non pienamente valorizzati a Hollywood - che rende appieno le sfumature di incertezza e di contraddittorietà dei personaggi. Del resto "reservation" in inglese può voler dire anche questo: “riserva”, nel senso di dubbio come momento necessario alla riflessione e alle maturazione personale.


TITOLO ORIGINALE: Reservation Road; REGIA: Terry George; SCENEGGIATURA: Jonathan Burnham Schwartz, Terry George; FOTOGRAFIA: John Lindley; MONTAGGIO: Naomi Geraghty; MUSICA: Mark Isham; PRODUZIONE: Germania/Usa; ANNO: 2007; DURATA: 102 min.

 


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