Un mercoledì da leoni: tempus fugit - John Milius PDF 
di Domiziano Pontone   

In tutti i film di John Milius al centro delle vicende narrate vi sono delle armi. L'unica pellicola che si discosta da tale assunto è Un mercoledì da leoni (Big Wednesday). L'unico mezzo di offesa, se possiamo definirlo così, è il surf, tavola in legno che solca il mare cavalcando le onde e fendendole con arcuate scie nella massa d'acqua. La violenza è relegata a innocue baruffe tra ragazzi o è suggerita come una voce off dal rimbombo della guerra col Vietnam (siano esse immagini televisive, l'angoscia della chiamata alle armi, la morte di un amico).

Big Wednesday è una sorta di magnifica parentesi elegiaca nel percorso artistico di John Milius che, al culmine della notorietà – ha già firmato due film di successo, è uno degli sceneggiatori più richiesti – decide di girare un'opera fuori dagli schemi, struggente ed evocativa.
Pochi anni prima George Lucas firmava il suo capolavoro, American Graffiti, e raccontava, tramite una singola serata, un'intera era sociale, un modo di vivere. Per farlo si avvaleva di una colonna sonora che scortava ininterrottamente il lungometraggio, facendo da trait d'union fra i vari episodi.

Milius metabolizza ed evolve lo spirito di American Graffiti, spezzettandolo in più parti diacroniche e collegando le medesime tramite il surf, vero e proprio fil rouge. Attraverso tre amici diversi tra loro, il regista analizza tre stereotipi del cittadino: quello ligio al dovere e coscienzioso (William Katt), quello tormentato e insicuro (Jan-Michael Vincent) e quello burlone e bislacco (Gary Busey). Aldilà della passione sportiva che li accomuna e delle differenze caratteriali, su tutto emerge sovrana la fedeltà e l'affetto reciproci.

Libero da battaglie fisiche e lontano da conflitti armati, Milius si fa cantore di disagi interiori: la paura di crescere, il timore della morte, la fuga dinnanzi alle responsabilità, la fine delle illusioni e il sopravanzare dell'età. Le leggende di un tempo si affievoliscono e le speranze di molti vanno deluse, ma la voglia di combattere e di lottare con la vita e con la realtà (simboleggiate da onde sempre più grandi nel corso del film) rende forti e immortali.

Seneca asseriva che "ignis aurum probat, miseria fortes viros" ("il fuoco mette alla prova l'oro, le difficoltà della vita gli uomini forti"). Matt, Jack e Leroy crescono e divengono uomini, per via di passaggi più o meno traumatici, ma conservano la linfa che li farà sopravvivere alle ondate più grandi: la coesione e il coraggio. Tutti i giorni sono uguali, ma ve ne sono alcuni nei quali la vita obbliga a confrontarsi con questioni improcrastinabili. In questi casi, a distanza di anni, l'amicizia regge e chiama a raccolta.

Ma Big Wednesday è ricordato soprattutto come un film sul surf. Tale sport, in origine, era riservato ai soli principi delle dinastie regnanti delle Hawaii. Dunque un mezzo di affermazione della supremazia da parte dell'optimus. Questo tipo di disciplina costringe chi la pratica ad affidarsi esclusivamente a se stesso. In questo senso, l'unione salda del trio protagonista dà la cifra dell'amicizia che si muta in vicinanza nella realtà quotidiana. Ciascuno ha una propria esistenza che nessuno può delegare a chicchessia (come la sfida che si lancia alle mareggiate più insidiose), ma il conforto di qualcuno che si libri accanto, pronto a tuffarsi in caso di richiesta di aiuto, rende meno arduo l'affrontare le prove.

Ma Big Wednesday è anche un film girato con perizia estrema. La varietà di soluzioni adottate da Milius, la spettacolarità delle immagini, sopra, sotto, intorno, dentro le onde, conferiscono un ritmo frenetico alle evoluzioni degli atleti (talora sostituiti da surfisti noti). La visione in grande schermo è d'obbligo, sia per quel senso di perdita e di impotenza che il mare (e la natura in generale) sa trasmettere, sia per la sovranità sonora e travolgente dello scrosciare delle waves.

A tredici anni di distanza Kathryn Bigelow ha riportato al centro dell'attenzione il surf in Point Break, ma i risultati, pur apprezzabili, non hanno nemmeno sfiorato l'epica che trasuda dalla contesa uomo-natura rappresentata in Big Wednesday. Milius, per rendere al meglio il suo intento, si è avvalso di un direttore della fotografia abile come Bruce Surtees (storico collaboratore del primo Clint Eastwood e, in parte, di Don Siegel) e, per le riprese aeree di quel MacGillivray che avrebbe, di lì a poco, lavorato con Stanley Kubrick per Shining, firmando da un elicottero le scene che accompagnano i titoli di testa tra le Montagne Rocciose (le stesse utilizzate in seguito da Ridley Scott per il finale di Blade Runner "final cut").

Big Wednesday segna anche l'inizio della duratura collaborazione tra John Milius e Basil Poledouris (l'unica davvero costante nella carriera del cineasta): accanto alla colonna sonora tipica degli anni '60 (da The Locomotion a Will You Love Me Tomorrow), il musicista compone brani intensi, wagneriani, per sottolineare quel superomismo che caratterizza il pensiero filosofico miliusiano.

Due curiosità: tra gli amici del trio (uno di quelli che salutano William Katt alla vigilia della partenza per il fronte) si può notare Robert Englund, futuro Freddy Krueger per Wes Craven, mentre la madre dello stesso biondo surfista è interpretata dalla storica segretaria di Perry Mason (Della Street), alias Barbara Hale, che è realmente la mamma di Katt.
Il capolavoro del regista di Saint Louis, nonostante la tiepida (e incomprensibile) accoglienza che ricevette negli Stati Uniti, divenne col passare del tempo un cult, sia per gli appassionati di surf (un recente ritrovo a Malibù ha coinvolto svariate centinaia di persone e ha causato disagi enormi alla viabilità) che per chiunque percepisca fondamentale, nella vita, l'amicizia, vero filo conduttore del film. Accanto a tali tematiche, si avverte in maniera quasi subliminale la visione nostalgica e malinconica del tempus fugit.

La centralità del rapporto virile, in Big Wednesday, è tutta raccolta in una frase che Milius in stato di grazia (cosceneggiatore con Dennis Aaberg, presente nel film in un cameo nella parte di Slick) fa dire a Bear, interpretato da Sam Melville: "un amico serve quando hai torto: quando hai ragione non ti serve a niente".

 


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