Kathryn Bigelow
K-19: The widowmaker, l'ultima fatica di Kathryn Bigelow, è stata presentata in anteprima alla 59 Mostra del cinema di Venezia nella sezione Fuori concorso. In quell'occasione "effettonotte" ha incontrato la regista che ha risposto a qualche domanda sul suo lavoro.
Il sottomarino è stato il "protagonista" di molti film nel cinema americano. Si è ispirata a qualche pellicola in particolare?
Non penso che questo sia un film di genere e quindi inscrivibile nella tradizione dei film di guerra ambientati in un sottomarino. Quello che vorrei è che fosse riconosciuto come un film che racconta la storia di persone coraggiose, che attraversa tutti i confini politici e geografici, che racconta una storia drammatica.
Da quello che mi sembra di ricordare era dai tempi di Operazione sottoveste che una donna non saliva su un sottomarino. Come è riuscita a raccontare una storia ambientata in un ambiente così fortemente maschile?
Io non l'ho mai considerata una storia prettamente maschile, è piuttosto un film legato a valori più universali, come il coraggio. La storia è sì una storia di uomini, ma anche la storia di una solidarietà internazionale svoltasi in un periodo così delicato come quello della Guerra Fredda.
So che Harrison Ford possiede una forte personalità sul set. Come è stato lavorare con lui?
Harrison ci ha aiutato e ispirato molto. È una persona che sì attira l'attenzione su se stesso, ma, al tempo stesso, aiuta anche gli altri. Infatti gran parte degli attori che impersonavano l'equipaggio del sommergibile non erano attori professionisti o, spesso, erano appena usciti dalla scuola di recitazione; per questo risultavano abbastanza intimiditi dalla vicinanza di Harrison e Neeson. Loro sono stati molto gentili, generosi e pazienti e li hanno aiutati parecchio.
Nei titoli di coda vengono ringraziati diversi marinai russi. Lei ha avuto rapporti con quei marinai? La loro reazione è stata polemica o di incoraggiamento?
Le persone lì elencate sono dei sopravvissuti che ho contattato e che mi hanno raccontato la loro versione dei fatti. Effettivamente all'inizio c'è stata una certa titubanza ad aprirsi con me in quanto sono americana e la Guerra Fredda non è finita da così tanto tempo. C'è anche da dire che è la prima volta che una produzione americana racconta una storia di questo tipo in cui il protagonista, che è a tutti gli effetti un eroe, è russo; nei film americani i russi non sono trattati molto bene… Pertanto io ho cercato di far capire loro che questo film non era solo un tributo al capitano ma anche a tutte le persone che hanno partecipato a quest'impresa.
Lo scarso successo ottenuto negli Stati Uniti è, secondo lei, dovuto proprio al fatto che il protagonista è russo?
Certamente sì. Come ho già detto la Guerra Fredda è storia recente e ha lasciato una grossa cicatrice negli Stati Uniti; forse, in parte, è una cosa ancora non risolta per molti e di cui non si può parlare con quella serenità necessaria. Ritengo comunque che per noi americani sia molto importante un film di questo tipo perché ci permette di giudicarci dal di fuori.
Non ha mai pensato di invadere il territorio nemico girando questo film, di guardare con un occhio straniero una realtà che non le apparteneva?
No, non ho mai pensato di correre questo rischio anche perché alla fine questo film è un tributo a loro. Inoltre ho parlato a lungo con la vera moglie del capitano e alla fine c'era sempre una grande commozione tra noi, lei mi abbracciava dicendomi che era importante che raccontassi al mondo questa storia. E poi non bisogna dimenticare che questa storia è stata "cancellata" per quasi trenta anni.
Qual è stata la cosa più difficile da realizzare in questo film?
Sicuramente la ricerca accurata per far sì che il film non risultasse noioso per il pubblico e al tempo stesso fosse molto preciso nei particolari tecnici, fosse veritiero soprattutto per ciò che riguarda la fisica nucleare e la catastrofe mancata; sul set c'era sempre un esperto che mi consigliava.
Come è stato per lei muovere la macchina da presa in ambienti così angusti?
È stata una sfida lavorare in un ambiente così piccolo anche perché gran parte del film è girato nella sala comandi ricostruita seguendo il modello del K19. Io e il mio operatore ci siamo interrogati a lungo sulla maniera di conferire movimento in quello spazio. Se poi si pensa che all'interno di quello spazio c'era un'intera troupe… Giravamo con delle protezioni…
Lei è una figura un po' particolare nel panorama hollywoodiano, si potrebbe definire quasi indipendente…
Ci sono pochi film girati da donne e il mio esempio dovrebbe servire per aprire le porte ad altre che vogliono fare questo mestiere, per mostrare che una donna può raccontare una storia che non sia necessariamente al femminile…